Maestro impareggiabile di sintesi, Piero della Francesca, capace di dare forma e geometria allo spirito, carnalità alla mistica. In nessun altro artista, prima e dopo di lui, gli ideali e la temperie dell’Umanesimo hanno trovato un equilibrio paragonabile. Scienziato e artista prima di Leonardo, ma, diversamente dal genio di Vinci, la scienza del biturgense non si distrae in inventiva tecnologica, ma si risolve sempre in teoria e applicazione estetica. La sua arte, per quanto immersa nella mondanità, non viene mai attraversata dall’estro individualista; lo sguardo soggettivo si fonde in una visione oggettiva e onnicomprensiva. In questo, la pittura di Piero assume un valore sociale che va ben oltre la narrazione propagandistica. La luminosa sacralità e gli ideali dell’Umanesimo trovano in essa la più paradigmatica delle rappresentazioni. Rigoroso razionalismo e profondo senso del mistero, monumentalità solenne e naturalezza si fondono in un’armonia per nulla precarizzata dai paradossi che l’hanno generata.
Sperimentatore costante, ma sempre attento a non recidere i legami con la tradizione. Assimilata la lezione plastica e spaziale di Masaccio, la sviluppa in volume e rilievo e la proietta in una dimensione cosmica; ereditato il colorismo luminoso da Domenico Veneziano, lo spoglia di ogni retaggio gotico e barbarico, per aprirlo serenamente al mondo nuovo. Non pago, eccolo nella seconda fase del ciclo delle Storie della Vera Croce in San Francesco ad Arezzo, deciso ad abbattere un’altra barriera: le tenebre. Neanche a dirlo, Piero non fa il passo più lungo della gamba; il suo spirito razionale non gli consente di accettare una sfida con sé stesso, se non è convinto di poterla vincere. Con il Sogno di Costantino, soggetto ideale per la fusione armonica di storia e mito, da prova di aver calcolato ogni dettaglio per la riuscita dell’inedita rappresentazione, aprendo un sentiero che porterà alla rivoluzione caravaggesca. Di più: lo sguardo immalinconito e straniato del servo seduto ai piedi del letto imperiale, nel suo rivolgersi allo spettatore, precorre strade metanarrative tanto care al Novecento.
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