IL SOGNO E LA SUA INFINITEZZA di Ninnj Di Stefano Busà

Da Lindapinta

IL SOGNO E LA SUA INFINITEZZA Ed. Tracce Pescara, di Ninnj Di Stefano Busà, (prefazione di Walter Mauro)

 a cura di Elio Andriuoli

 Una poesia lirica che tende ad assumere un andamento poematico è quella di Ninnj Di Stefano Busà, quale l’abbiamo conosciuta attraverso gli anni, da: Oltre il segno tangibile (1986) ad Abitare la polvere (1990); da Adiacenze e lontananze (2002) a l’Assoluto perfetto (2010) e quale la ritroviamo ora in questa sua nuova raccolta di versi: Il sogno e la sua infinitezza (2012) che reca la prefazione di Walter Mauro.

Lirica è infatti questa poesia perché in essa l’autrice tende ad esprimere con immediatezza i propri stati d’animo e poematica perché i singoli testi da essa preposti tendono a legarsi in un insieme più vasto, nel quale trovano il loro compimento e dal quale trovano il loro più autentico significato.

Ma quella della Di Stefano Busà è anche una poesia estremamente musicale, che poggia su di un ritmo ben marcato e riconoscibile ed è una poesia ricca di immagini sempre nuove che vivificano l’insieme e gli conferiscono intensità e vigore.

Si leggano ad es. : “La notte ha il passo sciroccato del sonnambulo; “Mi adombra la semina degli uragani”; “Respiriamo la vita come zolla dopo la mietitura; “Sento il dolore del cristallo franto” …” un silenzio che annoda/ tutti i tumulti ingannevoli” …rifiutiamo sempre la fedeltà delle galassie”; etc.

Ciò che si annida al fondo di queste pagine e che traspare dal loro sapiente ordito è un sentimento di sottile rimpianto che talora si trasforma in vera e propria tristezza, come avviene  in: “Il mondo e a lui difforme la morte, dove è detto: “Qui canta l’ultimo passero/…/ ogni cosa duole o si fa simulacro di dolore,/ ombra furtiva, immenso fiume lungamente/ atteso dal suo mare.” Si leggano anche: ” Ci lasciamo alle spalle/ un debito di radici e foglie,/ le nostre prime schermaglie d’amore” (Ci lasciamo alle spalle); ” Dalla nostra fatica di viventi/ riportiamo il dolore di creature in boccio” (Come vela dirupata dall’albero Maestro); “…giovinezza che più non rifulge, /eppure e lama tagliente fin nelle ossa(Tutto scorre per trasformare in pietra…).

Emerge inoltre da queste poesie un’assidua meditazione sulla vita e un acuto esercizio d’introspezione, strumenti coi quali la Di Stefano Busà costruisce i suoi testi con risultati sicuramente di grande rilievo, se Walter Mauro nella sua prefazione al libro può affermare di aver trovato in queste liriche “una lingua poetica semplice e naturale, come sempre si addice alla poesia vera e autentica” e di averiv scoperto inoltre ” una scrittura che con coraggio va ad occupare uno spazio non indifferente nel diorama d’oggi, non  soltanto per il perenne discorso sull’uomo, ma anche per la preziosa consuetudine di restituire alla parola poetica la sua più vera, autentica e alta connotazione.”

L’incisività e la perentorietà della parola poetica è infatti ciò che a prima vista si nota in questa silloge e che meglio la caratterizza, come può facilmente rilevarsi dai seguenti versi: ” Questo mi porta il mare: la liturgia/ del suo silenzio”; “ci pensano gli altri a puntellare/ l’ardimento dell’ala”; “Ci turba il paesaggio che riecheggia/ il diluvio delle mutate sembianze”; ” Nulla ci sorprende più di un’alba.

Poesia sovente amorosa, nella quale il rapporto con la persona amata diviene liberatorio d’interni dissidi e apportatore di serenità e pace. Come appare da questi passi: “Regalami la complicità dell’abbraccio,/ il fiore d’innocenza, la melagrana spaccata/ al solleone; “Poggio le mani sul tuo cuore/ sono falce e spiga che fiorisce e lenisce”, ” C’è una sola felicità a farti calzare/ i sandali col vento: se incontri l’amore. Scrivilo sulla pelle/ il dolce abbraccio, / la levità del balzo, l’altra giovinezza”.

Ma la poetica della Busà non è costituita dall’analisi dei sentimenti: in essa s’incontra anche la compassione con la sofferenza altrui, come avviene in “Clandestini“: ” con un sommesso brusìo/ coniugano rimpianto e nostalgia/ alla sfinitezza delle ossa; /s’inabissano in mare aperto come relitti:”Così è con l’anelito all’Assoluto: “In Te solo, le ferite del mattino sembrano/ incorruttibile luce che si propaga.”

Tutta la raccolta appare come un insieme di annotazioni, (quasi il resoconto di una vita)  che della vita appunto contengono la tristezza e l’incanto, la gioia dell’incontro e la pena dell’addio. Quelle de: Il sogno e la sua infinitezza sono pagine nelle quali è racchiuso il senso di una terrena avventura, i cui momenti privilegiati l’autrice ha fermati in modo garbato per farcene dono. Certamente, un dono da accogliere con profonda gratitudine e conservare con cura.


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