Il sogno liberista di Monti: consumatori h24

Creato il 13 gennaio 2012 da Radicalelibero

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FORSE non sarà più di moda, anche se, fino a qualche annetto fa (un paio) lo citava finanche Giulio Tremonti. Tuttavia, Karl Marx, oltre venti decadi orsono, era stato chiaro. Riflettendo sull’espansione del modello capitalista da mondo a mondo, constatava che esso si riproduce, in sostanza, per imitazione. Ovvero, il paese meno avanzato tende a riprodurre l’applicazione di quello ritenuto più avanzato. Capitalisticamente: più ricco. Per lungo tempo, quest’ipotesi è stata peregrina. Abbiamo assistito infatti ad una lunga fase dicotomica del sistema economico capitalista. Caduto (fatto cadere) il Muro di Berlino, ed allargata al pianeta la predicazione liberista, si crearono un blocco ultracapitalista, quello americano e inglese, violento all’interno (privatizzazioni selvagge, poche garanzie sindacali; le precedenti e brutali repressioni degli anni Venti e Trenta avevano, di fatto, già anestetizzato i movimenti) e all’esterno, ed un secondo, addirittura territorialmente più ampio, di stampo europeo, con più solidarietà e venato di socialdemocrazia. Un piccolo corto circuito imprevisto sulla strada del destino universale. Fastidioso. Negli Stati Uniti l’attributo ‘europeo’ e l’attributo ‘socialista’ hanno grosso modo lo stesso significato sprezzante.
Ci sono volute due enormi crisi economiche mondiali, un buon numero di guerre e l’Unione Europea a pieno regime, per sancire la sostanziale fine di questa difformità. Per lo meno nell’Italia di Mario Monti. L’uomo chiamato per riaddrizzare il capitalismo straccione nel Paese di Pulcinella, venerato a (e associato alla) sinistra e salvagente del centrodestra berlusconiano in agonia, colui che ha messo in bocca agli Italiani paroloni da Borsa e finanza, ha stretto il cerchio della politica sottomettendola del tutto all’economia. Non c’è Governo della cosa pubblica senza sanità economica. Non c’è sanità economica senza soldi. Non ci sono soldi senza finanza. Aristotelicamente, non c’è cosa pubblica senza finanza. E capitalismo.
A patire sarà la società, la sua organizzazione antropologica. Di più, le sue conquiste sindacali. Si fa presto a dire ‘liberalizzazioni’. Ma la radice del termine, ‘libertà’, è unidirezionale. Tira acqua al solo mulino di chi ‘imprende’. Di contro, la ricetta (indigesta) del Professore/Premier segna l’apocalisse delle lotte degli anni Sessanta e Settanta. A partire dalla difesa dell’occupazione. Fino, attacco spietato, ad un orario di lavoro ai limiti dello schiavismo. Perché se l’America va (ma siamo proprio certi che l’America vada? E dove?) allora che vada anche l’Italia dove va l’America. Progresso è cambiare, d’altronde. Ed il cambio innestato è a livello umano. Il cittadino diventa consumatore. I suoi diritti sanciti per Costituzione (politica, partecipazione, stampa, pensiero, vita, parola, religione) sono sostituiti dalla morale dell’acquisto. Più compri, più sei responsabile. Come quella pubblicità dei primi anni Duemila, quando a reti unificate si invitavano gli Italiani a spendere e spandere per riappropriarsi dell’economia. In realtà, era un foraggiamento del sistema che provava, artigianalmente, a salvare se stesso con l’unica arma che conosceva: la tv.
I consumatori, nel XXI secolo, sono divenuti una categoria; hanno le loro associazioni, i loro avvocati. Si organizzano, si mobilitano, creano codici di comportamento. E’ la naturale evoluzione (involuzione?) del collettivismo delle cause. Il mondo chiede di spendere e io spendo. Ma mi proteggo. Peccato che sia come entrare in una camera a gas con una molletta da bucato sul naso: inutile. Il mercato rutila e si rovescia addosso ai consumatori. Che si credono invincibili combattenti (la sinistra è fascinata da questi future fighters) ma nel nome e per conto dei quali diritti se ne violano altri, ben più lungimiranti ed importanti. Gli ultras della responsabilità e del sacrificio non lo dicono e non lo scrivono ma negli Usa, per esempio, con la deregulation degli orari, i lavoratori si sono trovati con 50 ore alla settimana sul groppone e 350 ore annue in più dei loro equivalenti europei. Tutto, per garantire telefonini, cheesburger, termosifoni e fragole in vendita anche di notte.
Monti e Passera vogliono questo. Non solo perché chiamati a farlo, ma perché, nella loro vita, non hanno assolto missioni diverse da quelle che puntavano a far quadrare il cerchio. Non è loro mestiere – né tantomeno gli interessa – quantificare, ad esempio, di quanto aumenteranno gli introiti della Pizzo spa (più negozi più pizzo. Più pizzo più debiti, più debiti più usura). Nè sprecano tempo nel capire cosa ne sarà di quanti, prima di questa riforma, hanno investito cifre consistenti in attività utopiche (paradosso: chiedere sacrifici a chi ha fatto sacrifici) per trovarsi, da un giorno all’altro, affiancato da un ‘vendo tutto’ portato avanti da un paio di precari disposti a lavorare tutta la notte. In fondo, è l’eterno sogno della luce 24 ore al giorno.

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