Magazine Cultura
IL SOLE DI ALUR - LA SESTA REGOLA, di Alessandro Fusco
Il ciliegio edizioni, 241 pagine, € 17,00
Genere: high fantasy
Giudizio: abbandonato
Lo giuro, mi sento tremendamente in colpa quando abbandono i libri degli esordienti.
Quelli di autori affermati non ho problemi a recensirli con cattiveria (anzi, direi che c'è anche una certa maligna soddisfazione), ma quando si tratta di un esordiente mi dispiace lasciare il libro a pagina cinquanta e doverne parlare in termini poco lusinghieri.
D'altro canto, soffro ancora di più nel dover:
- prosegurie la lettura di una cosa scritta male;
- sopratutto, scrivere una recensione generica e fasulla che non serve a niente per non far dispiacere all'autore (tipo: libro caruccio, ma con qualcosa da sistemare). Preferisco una serie di stilettate che però risultino utili.
Fatta la solita premessa, veniamo a "Il sole di Alur".
La maggior parte dei commenti che si trovano a questo libro sono buoni, quindi ero convinta, quando mi è arrivato dalla catena, di avere in mano qualcosa che valesse. Invece come tantissimi fantasy italiani è zeppo di errori da far rabbrividire.
Altra premessa, stavolta a favore dell'autore: ma l'editor ci ha veramente lavorato, così come si evince dal colophon? Perché gli errori sono talmente macroscopici da far venire dei dubbi. Come è possibile che nessuno se ne sia accorto prima di mandare in stampa il libro?
Altro esempio di esordio rovinato dall'incompetenza degli addetti ai lavori.
In generale posso riassumere le cose che non vanno in tre punti. Premetto che sono davvero arrivata attorno a pagina cinquanta (46, per la precisione), perciò ho una visione parziale, ma a me è più che sufficiente per decidere di non proseguire con la lettura (questa sembra un'affermazione pregna di arroganza, però è vero).
Prima però facciamo un accenno alla trama, che vede protagonista un ragazzino di nome Thérion che al 100% si rivelerà prescelto per qualcosa e che, guardacaso, è un orfano. Questo ragazzo è in viaggio verso la capitale per incontrare un sacerdote e si unisce a una carovana di nomadi che, di nuovo guardacaso, si riveleranno cattivi e lo rapiranno. Il ragazzo verrà salvato da Gandalf e Silente riuniti in un solo mago. Non sto scherzando, la descrizione è questa: "Aveva lunghi capelli grigi dai riflessi d'argento, come la barba, e portava un paio di occhiali curiosi calcati sul naso aguzzo".
Io non me la prendo per i cliché, ma c'è gente che non li ama particolarmente, quindi una trama che si basa su trovate lette e rilette e rilette e rilette offre molto il fianco alle critiche.
E veniamo ai tre punti di cui dicevo prima.
1. Il narratore e il punto di vista
Bisogna che faccia un post su questo argomento, perché non c'è nessuno che sembri sapere come funziona.
Ne "Il sole di Alur" la scelta di fondo è quella del narratore onniscente. Onniscente, lo dice la parola stessa: che sa tutto.
E allora, narratore onniscente, perché te ne vieni fuori con frasi tipo: "Questa dovette essere la conclusione del mugnaio"?
Se tu sai tutto devi scrivere: "Questa fu la conclusione del mugnaio", perché tu sai che è così, non puoi fingere di ipotizzarlo se sei onniscente!
Inoltre, spesso il punto di vista passa a Thérion, dandoci una visione parziale della situazione.
Bisogna scegliere: o si è onniscenti, modo di scrivere abbastanza difficile secondo me, o si lascia il POV a un solo personaggio e non ci si schioda da lì.
2. La credibilità della trama
Il romanzo parte in medias res e poi fa un omerico flashback, ma questo non è un gran problema. Il problema è che il ricordo del passato comincia dopo che il nostro eroe sviene in una maniera talmente imprevista da risultare irreale solo perché l'autore aveva bisogno di un pretesto per inserire il flashback ("mentre scivolava in un sonno profondo, la sua mente si volse al passato, ripercorrendo tutti i momenti, belli e brutti, che aveva trascorso da quell'ultima estate a Collebaldo, da quando, cioé, era partito per quell'incredibile viaggio).
Il problema numero due è che Thérion fa cose assolutamente prive di senso.
Ho detto prima che viene catturato dai nomadi. Viene rinchiuso in una cella con altri quattro ragazzi di cui uno, Shandor, ha un pugnale con cui si libera dalle corde; dopodiché lo passa al nostro eroe e assieme scappano.
E gli altri tre poveretti?
Vengono lasciati lì! Del resto hanno la personalità di sacchi di patate, dicono una sola frase fatta ciascuno, perché portarseli dietro?
Il bello è che però, mentre ancora si sta liberando dalle corde, il pensiero di Thérion corre "agli altri prigionieri e al destino ignoto che li attendeva. Il suo cuore era rapito da una confusa miscela di emozioni, diviso fra la paura e l'eccitazione, ma anche da una profonda tristezza".
Ricapitoliamo: Thérion decide di scappare con uno solo dei ragazzi, gli altri non ci pensa nemmeno a portarseli via, però gli dispiace per loro. Ma, cavoli, ci voleva tanto a liberarli?
Per fortuna ha un ripensamento e, circa dieci minuti dopo essere fuggito, di sua spontanea volontà (e lo sottolineo di nuovo: di sua spontanea volontà), torna dal capo dei nomadi e gli propone di scambiare se stesso con gli altri prigionieri in nome della pietà religiosa (se li avesse salvati prima non avrebbe avuto questo problema).
Indovinate cosa fa il capo dei nomadi? Quello che avrei fatto anche io: si fa una sghignazzata e gli indica la strada della cella perché ci ritorni dentro.
Ah, ma prima si affretta a dire al ragazzo che il cadavere che c'è nella sua stanza, un uomo che lui ha appena ucciso per rabbia, è un ubriaco addormentato. Insomma, salviamo la faccia di fronte a Thérion che abbiamo rapito per venderlo: mercante di schiavi sì, ma assassino no!
Ovviamente Thérion, che a questo punto abbiamo capito avere il cervello inceppato, torna in cella senza fare storie.
Potrei andare avanti con le incoerenze, ma è meglio che mi fermi qui.
3. Mostra, non raccontare!
So per esperienza personale che gli autori, mentre scrivono, non si rendono conto di commettere questo errore, però per ovviare si hanno a disposizione due validi strumenti:
- riletture del testo;
- un editor.
Quindi devo ribadire ciò che ho detto anche prima: ma l'editor il cui nome appare nel colophon ha davvero lavorato a questo libro?
Per comodità prendiamo la stessa frase di prima, riferita al mago: "portava un paio di occhiali curiosi calcati sul naso aguzzo".
Ora, qualcuno mi spieghi come sono fatti gli "occhiali curiosi". Per quel che mi riguarda potrebbero essere due gigantesche lenti tonde, degli occhialetti a mezza luna o anche un paio di Rayban da sole.
Capite che cosa intendo dire?
Ci sono altre frasi del genere sparse qua e là, ma la migliore, quella che vuole dire meno in assoluto, è: "Correva attraverso luoghi ameni". Questa è una delle classiche espressioni da scrittore (ed editor) pigro. Come fa il lettore a formarsi un immagine nella mente se viene detto solo "luoghi ameni"?
Siamo al livello di quelli che descrivono i combattimenti con frasi tipo: "Si scontrarono con le spade e X vinse".
Basta, è meglio che non vada avanti a sputare altro veleno.
Non so se questa casa editrice sia con contributo economico oppure no, ma se a me fosse arrivato un manoscritto così in valutazione avrei consigliato all'editore di non pubblicarlo; o, per lo meno, di pubblicarlo dopo averlo riscritto da capo (perché magari, al di là dei cliché iniziali, ha una buona trama; essedo arrivata a pagina 46 questo non posso dirlo).
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