Il Sole torna a far parlare di sé. Sul disco solare sono infatti apparse gigantesche macchie grandi decine di volte il diametro terrestre. Mauro Messerotti dell'INAF - Osservatorio Astronomico di Trieste spiega che "nessuna di queste ha al momento dato vita ad un getto di massa coronale" e che i brillamenti che potrebbero prodursi avrebbero l'80% di probabilità di raggiungere la classe M e il 50% di arrivare alla classe X.
di Francesco ReaL’ultima immagine del Sole inviata dalla sonda SDO. Il gruppo di macchie più grande, che attualmente si trova quasi al centro del disco solare è denominato AR1967. Quello più in alto, di minore estensione, è l’AR1968. Crediti: SDO/HMI
Il Sole torna a far parlare di sé. Sul disco solare sono infatti apparse gigantesche macchie grandi decine di volte il diametro terrestre. In particolare, si tratta dell’evoluzione proprio delle macchie di gennaio chiamate AR1944 e AR1946 che sono state ribattezzate AR1967 e AR1968. I loro brillamenti, cioè eruzioni di particelle cariche di energia che si riversano nello spazio, potrebbero raggiungere la Terra nell’arco di poche ore.
Il Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration), l’agenzia nazionale americana che tiene costantemente sotto osservazione il Sole, ha stimato questi due brillamenti, chiamati flare, avranno la probabilità dell’80% di appartenere alla classe M, che è la penultima classe in ordine di intensità e solo il 50% arrivare alla classe X che è l’ultima.
“Nessuna di queste – ci dice Mauro Messerotti fisico solare dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Trieste e esperto di Space Weather – ha al momento dato vita ad un getto di massa coronale (le Coronal Mass Ejection – CME), anzi il NOAA ci dice che siamo ancora in attesa di una CME del 30 gennaio scorso che comunque lambirà solo parzialmente il campo magnetico terrestre dando vita a fenomeni di tempeste magnetiche di bassa intensità, che saranno più che altro uno spettacolo ai poli”.
Una volta che la CME si muove verso il nostro pianeta “questa viene seguita da satelliti che sono in orbita – spiega Mauro Messerotti – in particolare SOHO e la coppia di satelliti STEREO, per seguirne il moto, ma particolarmente importante è il ruolo del satellite ACE (Advanced Composition Explorer) che misura le particelle energetiche contenute nella CME e che si trova al punto lagrangiano L1, a un milione e mezzo di chilometri dalla Terra. Quando questo flusso di particelle raggiunge il satellite ACE, viene lanciato un’allarme perché significa che sta arrivando una perturbazione”.
“Il ciclo di attività solare attuale – ricorda concludendo Messerotti – è molto più modesto del ciclo precedente e ha seguito un periodo di circa 800 giorni senza macchie solari osservate sul disco. Inoltre è molto variabile per quanto riguarda i picchi di attività. Sappiamo che si attivano prima l’emisfero nord e poi quello sud e ci si aspetta dei picchi di intensità di massima, ma in questo caso la cosa è molto più sfumata, dove il massimo è molto più appiattito e ci stiamo avvicinando verso il minimo (a fine anno) che concluderà l’attuale ciclo di attività”.
Fonte: Media INAF | Scritto da Francesco Rea