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Il soliloquio della tenia nel ventre dell’agente di polizia Bruce Robertson

Creato il 21 ottobre 2010 da Olineg

Il soliloquio della tenia nel ventre dell’agente di polizia Bruce RobertsonDedicato a tutti gli agenti di pubblica sicurezza, come quelli impegnati ora a Terzigno. Dedicato a tutti i poliziotti; quelli che la notte non riescono a dormire, quelli che dormono benissimo e quelli che dormono solo se glielo ordinano.

Come potrò perdonarti? Ma devo perdonarti. Conosco la tua storia. Come ti posso perdonare… ma devo. Lo devo? Come posso perdonarti? Perdonare ti devo. Devo farlo? La tua storia. E’ incominciata in un piccolo villaggio minerario che si chiama Nittin, poco lontano dalla bella città di Edina. Eri il primogenito, nato in circostanze travagliate da Ian Robertson e Molly Hanlon. Gente di miniera. Tu eri il primogenito ma qualcosa non funzionò. Erano persone abituate a lottare nella vita. Niente, però, poteva prepararle al trauma che sarebbe toccato loro. Le genti delle comunità minerarie erano ben consapevoli del proprio stato. Sapevano che in tutta la storia le classi al potere avevano sempre badato ai loro interessi; agli aristocratici proprietari della terra da cui i minatori estraevano il carbone e i capitalisti proprietari delle fabbriche che vivevano rifornite di quella fonte di energia. Molto di rado, per non dire mai, il governo prendeva le parti di quelli che lavoravano in fabbrica o estraevano il carbone. Tuttavia, alcune battaglie i minatori le vinseroperché si unirono e diventarono forti e compatti. Poi, nell’unica occasione in cui non lo furono, persero tutto. Ma la tua famiglia, Bruce, perse tutto già nel momento in cui ebbe qualcosa. Così vieni da un borgo minerario e da una famiglia di minatori. Sei persino sceso in miniera quando hai lasciato la scuola. Però quando la polizia intervenne contro di loro per imporre le nuove leggi antisindacali a vantaggio dello stato, e spezzò la resistenza dei minatori che picchettavano contro la chiusura delle miniere, tu non eri dalla parte dei lavoratori. Eri dall’altra parte. Il potere era tutto. Tu lo comprendesti. Non serviva uno scopo, a ottenere qualcosa che migliorasse agli altri, ma soltanto ad averlo, e mantenerlo e goderne. L’importante era trovarsi dalla parte vincente: se non puoi sconfiggerli unisciti a loro. Solo i vincitori o quelli foraggiati dai vincitori scrivono la storia dell’epoca. E quella storia decreta che solo  vincitori hanno una storia degna di essere raccontata. La peggior cosa al mondo è essere dalla parte di chi perde. Devi accettare il linguaggio del potere come moneta corrente, ma anche pagare un prezzo. Il prezzo è la tua anima. Tu sei arrivato a perdere l’anima. A non sentire più niente. La tua vita, la tua condizione e il tuo lavoro reclamano quel prezzo. Temendo di non gettare ombra quando ti trovavi davanti al sole, cessasti di guardarlo.

da “Il Lercio” di Irvine Welsh, 1998. Traduzione di Massimo Bocchiola, 1999. Pag. 256-257



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