Magazine Diario personale

Il solitario

Da Icalamari @frperinelli

Auricolari rosa

A Barbara, e a tutti quelli che leggendomi non capiscono.

Niente di personale.

All’improvviso, mentre camminavi -guardavi a terra anche se non ti sembrava che a terra ci fosse qualcosa di interessante-, hai alzato la fronte che si è tirata dietro gli occhi e davanti hai visto… pure: niente di interessante.  Solo e sempre le solite cose che ritornano, e che ti lasciano senza parole. Perché le tue parole, i tuoi bisogni, la tua stessa esistenza non hanno niente da dirti.

La differenza con ieri sta nel fatto che te ne sei accorto. Hai fatto la scelta di toglierti gli auricolari rosa dalle orecchie, per capire se il ronzio di fondo dipendesse dalla cattiva qualità del file o da qualcosa di esterno. Fuori c’era silenzio, talmente intenso da farti restare immobile a bocca aperta. Talmente vero da farti scegliere di gettare via le cuffiette.

Le cose che ritornano, io le so distinguere tra loro. Le ho catalogate, analizzate, a differenza tua. E ora lo so benissimo perché non parlano. E poi, so come mi ritornano sotto il naso di soppiatto. Come non ammetterebbero mai, neanche sotto tortura, di saperlo che generano brevissime illusioni di senso. Che consumano a furia di imperversare sempre sullo stesso organo, ma delle quali, ti sembra strano?, mi piace il gusto.

Vogliono convincermi a toglierle di mezzo. Me lo ripeterebbero ogni giorno nelle orecchie, se indossassi ancora i miei auricolari, dei quali invece anche io mi sono sbarazzata. Ma che ne sanno loro, che scambiano il dovere col piacere, e le cose che tornano le tengono d’occhio già molto prima di trovarsele davanti. Che solo quando capiscono che sono inoffensive, le invitano pure a cena in casa propria. E se anche loro cadono di tanto in tanto in qualche equivoco, lo giocano sul filo dell’umorismo, e l’imbarazzo rientra in un momento, basta mettere alla porta le cose che molestano. O al contrario, se fiutano un pericolo, non c’è nessun problema. Le mettono alla porta, in ogni caso.

Io, le cose, lo so perché ritornano. E adesso le costruisco a tavolino le illusioni, le giostro come mi pare, per il mio solo godimento personale.

Poco fa in strada sono tornata nel letto dal quale mi ero alzata da diverse ore. Cose che tornano anche lì, sempre le stesse poi, come qui in strada. Sono uguali, in questo, la strada e il letto. Non ne sono annoiata, ma no. A me non annoia la ripetizione. Mi delude, e mi sobilla reazioni sorprendenti.

Perché nel letto, a volte, quando penso di essere sveglia e invece forse non lo sono proprio del tutto, non saprei dire affatto dove sono. Lo subodoro, magari sbaglio, e se me ne sto rannicchiata tutta su un fianco e sfioro il bordo e quasi quasi cado di sotto. Quello è il momento in cui forzare l’illusione, creando un mondo profondissimo in una bolla di sapone -fragilissima- che, appena scoppia, mi porta a risvegliarmi per davvero.

Anche ora che non sono più sdraiata, e che cammino per la solita strada sempre uguale, mi troverò davanti le solite cose. La delusione mi sovreccita almeno il tempo di uno starnuto. E allora mi dico: rifarò la stessa strada anche domani.

Tu che hai tolto gli auricolari rosa, riflettici sul fatto che le cose, inevitabilmente, continueranno a ritornare. E prova almeno a commuoverti -io ho raggiunto le lacrime- leggendo questo ritratto impressionista di Flaubert.


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