Una voce ed un pianoforte. Queste le assolutamente convincenti “armi” utilizzate da Nicola Pecci nel suo ultimo album, Il solo modo per essere felice. Nelle sue composizioni la parte strumentale è una perfetta base per testi molto personali che raccontano il profondo e l’intimo del loro autore. Brani, dunque, che rispecchiano le sue esperienze di vita e il suo modo di essere. Nicola, infatti, viaggia tra pensieri e desideri cercando di renderli reali e concreti. Una voce magnetica, profonda, essenziale. I suoi lavori hanno il respiro di quella grande tradizione cantautoriale che in Italia passa dall’arte di Luigi Tenco a quella di Piero Ciampi, per arrivare a Sergio Endrigo e Francesco De Gregori. Infine, ascoltando Pecci, non si può poi fare a meno di considerarne il notevole background teatrale che sempre emerge nei suoi live che tanto ricordano lo stile di Giorgio Gaber e del suo teatro-canzone.
Nella tua musica il testo è sicuramente al centro di tutto: come vedi il mondo della canzone di oggi?
«Le cose mutano davvero in fretta. Solo un paio di anni fa, ricordo, che in un’intervista dissi che c’era molto fermento nella musica italiana. Non ne sono più così certo. Sto prendendo le distanze dalle produzioni odierne, ma non solo in Italia. Forse sono io che faccio fatica, ma è innegabile che non stia più comprando dischi né scaricandoli. Tutto si somiglia e suona allo stesso modo. Anche le voci. Non sono la persona più adatta al momento per parlare di novità. Ho bisogno di una purezza che non riesco a trovare se non nel passato. Ma mi passerà!».
Quali cantautori consideri tuoi maestri?
«I miei “padri artistici” sono da ricercare nei favolosi anni ’60. E sono Tenco, Endrigo, Ciampi. Poi, De Gregori nei ’70. Ma se devo essere sincero ho cominciato a scrivere canzoni “per colpa” di Luca Carboni! Quella sua tenera malinconia mi affascinò fin da subito. Raccontava di tristezze che mi somigliavano, mi cullavano. Le case d’inverno, …te che non so chi sei, Primavera. La sua Bologna notturna era il mio specchio. Leggevo Altri libertini (Feltrinelli, 1980) di Pier Vittorio Tondelli e volevo essere là. E così, da montagne di parole sconclusionate, cominciai ad asciugare fino a farne dei testi che piano piano divennero canzoni».
Da dove trai ispirazione per i tuoi brani?
«Le mie canzoni sono la mia realtà, le mie verità, le mie memorie. È l’unico luogo dove riesco ad essere veramente sincero. Nella vita non sempre. La vita sa essere noiosa, quindi è facile romanzare. Ma nelle canzoni io non scherzo, e non riesco a farlo. Mi piacerebbe usare l’ironia, come sempre mi capita nella vita di tutti i giorni. Io sono uno solare per chi mi conosce, un burlone, mi piace prendere e farmi prendere in giro, ma evidentemente prendo molto sul serio la forma canzone. L’unico davvero interessante per me oggi in Italia è Bobo Rondelli che riesce ad unire ironia e malinconia. Simone Cristicchi diceva di voler cantare come Biagio Antonacci, a me piacerebbe scrivere come Bobo Rondelli».
Solitamente scrivi da solo i testi e la musica delle tue canzoni?
«Sì, scrivo da solo testi e musica, ormai. Anche se è capitato, e capita tuttora, che collabori con il mio grande amico Francesco Sighieri, autore di molte canzoni di successo per Noemi (Briciole, ad esempio, è sua), Dolcenera e molti altri. Oppure con mio fratello Federico Pecci, un ottimo musicista che a breve pubblicherà il suo primo disco!».
Vuoi dirci qualcosa della nuova versione del tuo Il solo modo per essere felice?
«Per la mia “felicità”, l’album è stato ristampato in versione deluxe con due nuove canzoni: Avevo quindici anni e 1982, un brano che mi riempie d’orgoglio. Il testo inedito è di Sergio Endrigo: intenso e amaro. Io ho scritto la musica, con la collaborazione di mio fratello Federico. È un pezzo al quale, ovviamente, tengo molto. È principalmente un onore aver riportato alla luce quella che era una poesia “nascosta” di Sergio, che solo grazie a Claudia Endrigo, la figlia, ho potuto avere e “lavorare”. Sono curioso di vedere la reazione dei suoi fan, spero di essere stato all’altezza!».
Fotografie di William Di Lauro