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Il Sopa e la lobby dell’industria culturale

Creato il 18 novembre 2011 da Francesco Sellari @FraSellari
Illustrazione di Matt Wuerker/Politico

Illustrazione di Matt Wuerker/Politico

Dopo Acta, un altro temibile acronico mette a repentaglio il web come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. Si tratta del Sopa, ovvero del Stop on-2line piracy acta, una proposta di legge che mercoledì ha iniziato il suo iter di discussione alla Camera dei Rappresentanti statunitense. La più controversa misura del nuovo provvedimento consente al ministro della giustizia (l’ “attorney general” negli Usa) di creare una lista nera di siti che possono essere bloccati dagli Internet Service providers, ma anche “cancellati” dai motori di ricerca, perché colpevoli di ospitare o aver ospitato materiale tutelato dal copyright.

Come altre “battaglie campali” che ormai da oltre 10 anni si animano quando viene messa in campo una proposta di legge che punta a debellare il fenomeno della condivisione illegale di materiale coperto dai diritti d’autore, gli schieramenti sono noti. Da un lato le associazioni a tutela dei diritti del cosiddetto “popolo della rete”, come l’Electronic Frounteer Foundation e Public Knowledge International, ma anche organizzazioni a difesa dei diritti civili come la Aclu. Dall’altra parte della barricata le coorporation dell’entertainment e le associazioni di categoria che le rappresentano come la Riaa, la Recording Industry Association of America e la Mpaa, la Motion Picture Association of America.

La causa per la quale, nonostante le accese proteste degli internauti e delle associazioni, ma anche nonostante i pareri discordanti circa il reale impatto del file sharing sulle industrie del settore (una rapporto di causa effetto tutt’altro che acquisito), potrebbe anche essere ricercata nella mole di denaro che le corporations riversano nelle casse della politica Usa. Ce lo suggerisce Politico.com (via Sun Foundation): “Secondo i dati del Center for Responsive Politics, le industrie del cinema, della musica e della Tv, hanno speso quest’anno più di 91 milioni di dollari per fare lobby, una cifra che le mette sulla buona strada per superare ogni altro precedente record di spesa”.


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