Il sorriso di Claudia

Creato il 02 gennaio 2014 da Signoradeifiltriblog @signoradeifiltr

Ecco la povera Claudia, dondolante, seduta a terra sulle ginocchia piegate, col sorriso spento e un rivolo di bava che le scende a lato della bocca. Lì, ferma, come ogni mattina a mettere in mostra i suoi disegni. E’ il suo ultimo contatto con la realtà. Ridipinge gli stessi cerchi concentrici di vari colori. Ne ha uno per ogni giorno della settimana. Oggi è giovedì? E’ rosso infatti, domani sarà verde e sabato azzurro. Un vortice che l’ha assorbita in cui lei gira e rigira e che non la lascia uscire.

La dottoressa Michela Alibrandi, psichiatra, aveva da poco superato la cinquantina, ma era di aspetto ancora giovanile e bella presenza. Alta, bruna, i capelli raccolti in un perfetto chignon, portava sempre al collo un foulard di seta abbinato al vestito. Non si era mai sposata e aveva dedicato l’intera vita ai suoi malati. Quella mattina stava entrando nella clinica dove lavorava e rifletteva sull’incontro con Claudia. Una paziente che cercava di curare con la solita passione, ma con la quale aveva ottenuto ben pochi risultati. Nell’androne le venne incontro Paola, la sua preziosa assistente ricordandole gli impegni della mattinata.

“Buongiorno dottoressa. Oggi alle dieci ha la riunione del corpo medico col Direttore Sanitario. Poi alle dodici, l’aggiornamento professionale dei dipendenti…….”

La dottoressa commentò con un sospiro il lungo elenco di appuntamenti e poi aggiunse:

”Dato che oggi mi fermo per il pranzo, ordinami un sandwich e, nel pomeriggio, fai accompagnare Claudia in giardino.”

Paola si era irrigidita, o forse le era solo sembrato. Se non fosse stata certa della professionalità della sua assistente avrebbe detto che era gelosa di quella povera mentecatta. Ogni volta che la nominava, una nube oscurava il suo bel viso. Paola bionda, alta, intelligente era fidanzata con Sergio, l’infermiere più bello della clinica. Cosa mai avrebbe potuto invidiare a una pazza che passava le ore a scarabocchiare fogli, a guardare nel vuoto o a sorridere senza sapere perché? Michela si era convinta che il personale sanitario, alla lunga, perdesse un po’ il contatto con la realtà e si addentrasse ogni giorno di più nel mondo dei malati, vivendone le fantasie e sentendo pericolosamente addosso le loro emozioni. E questo, forse, valeva anche per la bravissima Paola, sempre così attenta e professionale.

Erano le tre, Claudia l’attendeva seduta sulla panchina, all’ombra del glicine che formava, coi suoi rami pendenti, un ampio arco di ingresso al parco della clinica. Era così minuta, pallida, la testa leggermente curvata in avanti e ciononostante esprimeva un’inspiegabile energia. La dottoressa si sentiva stringere il cuore ogni volta che ripensava alla sua triste storia.

Una notte era stata chiamata dai servizi sociali per affidarle in cura quella strana ragazza, comparsa quasi dal nulla. Era fuggita da una casa in fiamme dove, in seguito, venne rinvenuto il cadavere carbonizzato del patrigno. Il quale, con ogni probabilità, dopo essersi ubriacato, si era addormentato con la sigaretta accesa causando l’incendio dell’abitazione. Claudia era stata visitata e su tutto il corpo portava evidenti segni di percosse e sevizie.

Gli inquirenti avevano allora riaperto il caso della madre di Claudia, trovata strangolata qualche tempo prima nella stessa casa. Si era indagato, a suo tempo, per scoprire il coinvolgimento del marito in quella misteriosa morte, ma le indagini non erano approdate a nulla e Claudia, malauguratamente, era stata affidata proprio a lui, fino alla notte del tragico incidente.

Da quel giorno la dottoressa l’aveva in cura, ma non c’era stato nessun segno di miglioramento. Ora, come allora, Claudia stava seduta, immobile e guardava fisso davanti a sé, nel vuoto, inseguendo chissà quali pensieri o ricordi. Se davvero ne aveva di ricordi. Cercare di fare riaffiorare nella sua mente il passato che aveva rimosso e farle accettare la sua vita senza sofferenza, avrebbe voluto dire ridarle anche l’uso della parola, ostinatamente perso insieme alla memoria.

Michela passava ore a parlarle dolcemente, carezzandola e cercando di trovare un contatto con lei, ma Claudia sembrava non sentirla. Lo sguardo fisso e la mano posata nella sua, senza vita. Quel giorno aveva avuto, però, un guizzo e la dottoressa si era accorta di un lungo brivido che le aveva percorso tutta la pelle, alzandole i pori, quando le aveva detto :

”Ti fa bene la ginnastica. Stasera farai ancora esercizio con Sergio.”

Claudia infatti non si muoveva di sua volontà, tendeva a rannicchiarsi su se stessa, sempre ferma nella stessa posizione e questo alla lunga le avrebbe creato problemi nella deambulazione. Nella speranza di trovare vantaggio dall’attività psico-motoria, le aveva prescritto, tre volte la settimana, un’ora di ginnastica passiva che le veniva praticata dal personale di turno.

La mattina successiva la dottoressa arrivando alla clinica vide un inusuale spiegamento di auto dei Carabinieri che occupavano il piazzale. Claudia non era nell’androne coi suoi disegni e nemmeno Paola le era venuta incontro come al solito.

Fu il portiere a darle le prime spiegazioni:“Dottoressa, pare che stanotte Claudia abbia accoltellato Sergio. Che tragedia! Li ha trovati tutti e due giù in palestra l’inserviente che stamattina alle sei era sceso per le pulizie. Stanno cercando di capire cosa sia realmente successo”

Michela irruppe trafelata nella stanza del direttore sanitario, senza bussare. Claudia, tremante, era seduta in un angolo con le manette ai polsi e lo sguardo assente come sempre. Il lieve dondolio della sua testa era aumentato di intensità ma di questo se ne poteva accorgere soltanto lei che la conosceva e la curava da tempo. Nella stanza c’erano il suo direttore e tre carabinieri in divisa. Due erano in piedi di fianco a Claudia e il terzo, un giovane bruno con gli occhi penetranti, la squadrò da dietro la scrivania.

“Lei chi sarebbe?” chiese seccato

Il direttore intervenne prontamente per fare le presentazioni, ma Michela non lo lasciò finire:

“Claudia è una mia paziente e avevate il dovere di chiamarmi subito, non potete trattarla come una criminale!” gridò alzando il braccio con l’indice a indicare nella direzione dove era seduta la malata.

Il brigadiere Raffaele Di Martino la gelò con una fredda e amara risposta:

“Non deve essere molto brava come medico lei se, la notte scorsa, la ragazza che ha in cura ha fatto fuori una persona col coltello.”

Era quasi un anno che il brigadiere Di Martino prestava servizio nella ridente cittadina emiliana dove si trovava anche la clinica. Conosceva ormai molto bene gli usi e le abitudini della gente del posto. Brave persone, a cui si era nei mesi affezionato, seri lavoratori e soprattutto cittadini rispettosi della legge. Per questo motivo non riusciva a spiegarsi quel assurdo omicidio ed era piuttosto nervoso. Esattamente come quando, proprio il giorno del suo arrivo, aveva scoperto il cadavere di una donna lungo il fiume. Un caso che aveva poi brillantemente risolto e gli era valso una certa notorietà, rivelatasi molto utile per inserirsi nella vita sociale e godere della tranquilla amenità di quei luoghi.

Il brigadiere si scosse dai suoi ricordi e tornò a concentrarsi sui fatti accertati fino a quel momento. L’infermiere Sergio Ricci, mentre praticava la ginnastica passiva, con ogni probabilità, si era preso qualche libertà in più con la malata e aveva abusato di lei. La reazione di Claudia doveva essere stata fulminea perché né sul corpo della vittima, né sul suo erano stati trovati segni di lotta. Dunque il rapporto era avvenuto senza violenza e all’omicidio non era preceduta nessuna colluttazione.

“Dottoressa, lei scrive nella cartella clinica della qui presente Claudia Montorsi che la stessa è incapace di ogni tipo di reazione verso chi le fa del male. Pensa davvero che sia così?”

Il brigadiere interrogava Michela cercando di ricostruire al meglio gli eventi della notte precedente.

“Lo sostengo perché per anni ha subito le violenze del patrigno e non ha avuto reazioni di nessun genere. Anzi col passare del tempo si è sempre più chiusa al mondo esterno, ripiegandosi anche fisicamente su se stessa. Basta che la guardi. Lei può toccarla, accarezzarla, scuoterla, picchiarla se vuole, ma la reazione sarà la medesima: Claudia resterà immobile.”

“Eppure si è munita di un coltello da cucina, preso dalla mensa, lo ha portato con sé in palestra e con violenza, quando l’infermiere si è avvicinato al lettino lo ha colpito all’improvviso. Prima sul petto all’altezza del cuore e una volta a terra, lo ha accoltellato alla schiena.”

“Claudia è incapace di premeditare qualsiasi azione, figurarsi un omicidio! “ aveva strillato Michela e con atteggiamento protettivo si era avvicinata alla sua paziente, carezzandole i capelli.

“Adesso la dovete lasciar stare, la porto con me di sopra, ha bisogno di un sedativo per riposare e stare tranquilla.”

Di Martino acconsentì che la dottoressa si prendesse cura della ragazza fino a quando non avesse deciso di incriminarla e trasferirla al manicomio giudiziario. Fermo restando che i due carabinieri di guardia non dovevano perderla di vista un attimo.

Mentre guardava la dottoressa allontanarsi e prendersi cura con estrema delicatezza della ragazza, il brigadiere continuava a pensare che c’era qualcosa di strano nella vicenda e non riusciva a vedere con chiarezza la ricostruzione dei fatti. Quella povera pazza sembrava davvero incapace di ferire e uccidere un uomo robusto e forte come Sergio Ricci. Inoltre, dopo aver organizzato a mente lucida un piano così perfetto, perché sarebbe rimasta ferma in palestra, seduta a fianco al cadavere col coltello in mano, come se veramente fosse incapace di muoversi da sola?

Poco dopo, interrogando Paola Grandi, fidanzata dell’ucciso, incominciò a darsi una nuova spiegazione.

Durante l’interrogatorio la Grandi gli era sembrata nervosa, scostante, sudava anche se nella stanza non era affatto caldo e queste reazioni lui le conosceva bene. Erano una mezza confessione e l’altra metà riusciva sempre a ottenerla, incalzando e mettendo l’interrogato alle corde.

Anche lui aveva i suoi metodi, sapeva fare qualche pressione psicologica e dopo un po’ la ragazza cominciò a raccontare:

“Sergio era un porco depravato, ma io lo amavo a tal punto che non l’ho denunciato. Ho finto di non sapere che quando aveva il turno di notte si divertiva con Claudia. Tutto è cominciato qualche tempo fa quando la dottoressa ha deciso per la ginnastica passiva. Claudia è bella, giovane, vedersela così inerte, sentire la sua pelle morbida sotto le dita gli ha scatenato un’irrefrenabile libidine e ha iniziato a prenderla, provandoci sempre più gusto. ”

“Glielo ha detto lui?”

“Sì. Io mi sono accorta subito della sua sbandata e una sera, proprio mentre era a letto con me, ha avuto la faccia tosta di raccontarmi ogni cosa, nei minimi particolari. Che lui la faceva godere, che Claudia si lasciava penetrare da ogni parte. Ne era ossessionato.”

“E lei?”

“Io mi sono arrabbiata. Gli ho detto che non volevo più vederlo e che se non avesse smesso immediatamente quel gioco perverso ne avrei informato la dottoressa.”

“E poi?”

“E poi invece ho taciuto, non ho avuto il coraggio di denunciarlo gliel’ho già detto. Aspettavo che si stancasse del nuovo giocattolo e che tornasse da me, ma stavolta era una cosa diversa, non si stava divertendo come aveva fatto con altre. Lo sentivo sempre più distante. Era come rapito e non mi cercava quasi più.”

“Così ieri sera, sapendo del turno di notte, lo ha raggiunto e vedendo che stava facendo l’amore con Claudia, non ha resistito all’impulso di fargli del male, è vero?!” le urlò il brigadiere alzandosi di scatto e muovendo qualche passo in avanti. Per farle sentire di più il disagio della sua vicinanza, si era fermato dietro la sedia in modo che lei non potesse vederlo, ma avvertirne soltanto la presenza, e continuò a parlare sottovoce, stavolta, alitandole quasi sul collo:

“È andata nella cucina della mensa, ha preso il coltello e glielo ha affondato nella schiena, è così?”

Incalzante ricostruiva tutta la scena:

“Mi é chiaro adesso che la prima coltellata, contrariamente a quanto avevo pensato in precedenza, è stata quella data alle spalle. Si spiega anche il perché non vi sia stata reazione da parte della vittima. Colto di sorpresa, da dietro, ha perso l’equilibrio ed è caduto. La seconda coltellata, letale, lo ha poi raggiunto al petto. Infatti era stato ritrovato supino, così……”

Di Martino si spostava, allargava le braccia, cercando di immaginare, mimandoli, i movimenti della vittima e del suo assassino. Tornando verso la sua scrivania concluse:

”Mettere poi il coltello in mano a Claudia e andarsene senza che lei reagisse è stato fin troppo facile, la ragazza non parla e non l’avrebbe denunciata”.

Paola era incredula:

“No. Io non l’ho ucciso! È vero, mi feriva quel suo insano comportamento, ma non avrei mai avuto il coraggio di fare una cosa simile.” Piangeva, si discolpava con sempre minore convinzione e, portata davanti al Magistrato, pur non avendo reso piena confessione, venne arrestata per l’omicidio.

Ecco la dottoressa Alibrandi ,distrutta, provata dagli eventi dei giorni scorsi. Ha difeso strenuamente la “sua” Claudia ed è riuscita a evitarle l’incriminazione, ma con altrettanta veemenza non ha saputo difendere la “sua” Paola, nella quale pur credeva e per la quale nutriva affetto. Quando ha dovuto scegliere, ha preferito pensare che fosse lei la colpevole.

Claudia no. È incapace di odiare, incapace di amare, incapace di qualsiasi sentimento. Claudia lasciava che abusassero di lei senza reagire. Di nuovo un uomo che la straziava nel corpo e nell’anima. Ecco perché le sue terapie non sortivano effetto alcuno! Sergio, quel maledetto, rigirava il coltello nella piaga, risvegliando ogni volta in lei il trauma che cercava invano di guarire.

La dottoressa Michela Alibrandi, aveva ripreso il suo tran tran giornaliero e stava entrando nell’androne della clinica. Claudia era ancora lì, silenziosa, dondolante, sembrava non aver risentito dell’uragano di emozioni che si era riversato su di loro. Aveva terminato il suo disegno e, come sempre, glielo porgeva. Però, invece del solito cerchio concentrico arancione del lunedì, aveva messo fra le mani della dottoressa un disegno eseguito perfettamente. Si scorgeva chiaramente, in primo piano una grande lama, impugnata da una donna bionda, vestita da infermiera che, anche se vista di spalle, rappresentava indiscutibilmente Paola colta nell’atto di colpire Sergio da dietro.

Michela, non si aspettava nulla di simile da parte di Claudia. Eppure per tanto tempo aveva atteso invano una sua, se pur minima, reazione. La scrutò con sorpresa, cercando in lei un cenno, un sorriso consapevole. Claudia era, come sempre, impassibile. Ancora nascosta dietro le sue nebbie e il suo dondolio, ma le aveva fornito, quale unica testimone, la prova schiacciante che mancava al brigadiere e senza pensarci due volte gliela portò.

“Lo choc subito assistendo all’omicidio, le ha procurato, evidentemente, un contraccolpo emotivo che l’ha sbloccata. Ora curarla sarà più facile, si può con ottimismo pensare addirittura a una guarigione totale .” disse la dottoressa con soddisfazione mentre consegnava il disegno.

Il brigadiere Di Martino lo esaminò a fondo, senza profferire parola, ma a un tratto ebbe un sussulto e poi scuotendo il capo, sconsolato, si rivolse alla dottoressa chiedendo:

“Perché?”

“Perché?” ripeté più volte buttandole avanti sul tavolo il disegno.

Solo allora Michela, guardandolo con maggiore attenzione vide che nella lama, rappresentata in primo piano, si rifletteva, come in uno specchio, il viso di una donna bruna con un foulard al collo. Era lei che colpiva Sergio, e Claudia l’aveva denunciata.

Non provò nemmeno a discolparsi, con freddezza e precisione raccontò al brigadiere tutti i particolari. Di come si fosse insospettita dagli atteggiamenti di Paola, di come fosse rientrata non vista la sera e avesse colto l’infermiere sul fatto. Della rabbia provata a scoprire come i suoi sacrifici venivano sistematicamente vanificati e dell’irresistibile impulso a vendicare la sua paziente. Il resto era andato esattamente come lui aveva argutamente ricostruito.

Claudia è seduta nell’androne, la sua testa non dondola più, guarda fuori dalla finestra, sa che non vedrà arrivare la dottoressa questa mattina, sa che anche Paola non sarà più una rivale per lei e rivolge un tenero e timido sguardo all’infermiere che ha preso il posto di Sergio, mentre una risata trattenuta le scuote leggermente le spalle.

La povera Claudia che si innamora come tutte le donne e nessuno vuole capirlo…..ahahahahah ….povera Claudia che deve ogni volta escogitare piani per liberarsi delle sue rivali.

Franca


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