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Lukas (Mads Mikkelsen) è appena uscito da una separazione e vive tutto solo in una grande casa in un paese della Danimarca immerso nei boschi. Ha un cane inseparabile e un figlio, Marcus, che vorrebbe andare a vivere con lui. È perfettamente integrato nella sua comunità, ha amici carissimi, e lavora con entusiasmo nell'asilo locale.
La prospettiva di ricostruirsi una vita affettiva e di credere in un nuovo inizio va in frantumi quando Klara, la figlia piccola del suo migliore amico, dice alla maestra delle cose su Lukas che fanno nascere potentemente il sospetto che questi abbia abusato di lei.
Da lì in poi un processo di amplificazione che si trasforma in vera e propria demonizzazione (una caccia, come recita il titolo originale), ancor prima che la giustizia abbia fatto il suo corso. Lukas viene lasciato solo da tutti, anzi perseguitato e minacciato in ogni modo possibile, man mano che il sospetto si diffonde viralmente anche tra gli amici più cari e le persone che gli sono più vicine. Con l'unica eccezione di suo figlio (che non avrà mai dubbi sull'innocenza del padre) e di uno dei suoi amici (probabilmente quello meno coinvolto perché non ha i figli all'asilo dove lavora Lukas), tutti gli altri si troveranno divisi tra il dovere di proteggere i propri figli e la fiducia nel proprio amico.
L'elemento più interessante sta nella posizione in cui viene collocato lo spettatore rispetto ai protagonisti. Lo spettatore conosce la verità e guarda le reazioni e le dinamiche tra le persone dall'esterno, come studiasse la vita delle formiche in un ambiente sottovetro di laboratorio.
Inevitabilmente, dunque, si trova a esprimere giudizi e a prendere le distanze. Dai membri di questa comunità che sono trascinati in un'isteria collettiva che si trasforma presto in persecuzione e violenza, ma anche dallo stesso Lukas che, nel suo essere mite e introverso, non tenta mai di raccontare la sua verità, la sua versione dei fatti, vorrebbe che i suoi amici e le persone che gli vogliono bene lo credessero sulla parola o semplicemente guardandolo negli occhi, non fossero nemmeno sfiorati dal dubbio, e dunque finisce per isolarsi e prestarsi ancora di più al suo ruolo di capro espiatorio.
Al centro di tutto questo i bambini, Klara e gli altri che frequentano l'asilo, dotati di un loro complesso mondo di sentimenti senza avere ancora gli strumenti per gestire le criticità relazionali, un mondo che gli adulti non comprendono e perfino negano, nella convinzione di una loro presunta ingenuità e incapacità di dire bugie.
Da spettatori comprendiamo la sofferenza di Lukas, auspichiamo che si ribelli alla persecuzione di cui è oggetto, stigmatizziamo il comportamento degli amici e della comunità tutta che non concede a un suo membro neppure il beneficio del dubbio, ci sentiamo sollevati quando gli equilibri si ricompongono.
Thomas Vinterberg ci trascina in un gioco pesante, quello che ci porta a trasformarci a nostra volta in superficiali giudici delle reazioni degli altri, per costringerci a riflettere sul fatto che dall'interno non saremmo diversi da quell'umanità spaventata e confusa, cadremmo nella stessa trappola di vittima e carnefice da cui difficilmente si sfugge.
Nell'ultima scena l'angoscia che ci ha accompagnato per tutto il film e che sembrava essersi sciolta negli abbracci e nelle strette di mano di riconciliazione tra Lukas e i suoi concittadini si riaffaccia prepotentemente e ci fa capire che, di fronte a una ferita così profonda per tutti, è impossibile ricostruire un'innocenza e una verginità delle relazioni ormai irrimediabilmente perduta.
Mads Mikkelsen è straordinario nel ruolo di Lukas e Vinterberg si conferma grande osservatore delle pieghe oscure dell'animo umano e delle ipocrisie della società borghese.
Il limite del film sta - a mio parere - nel cedere a qualche tentazione didascalica che a tratti toglie credibilità alla tensione che si respira dal primo all'ultimo minuto.
Voto: 3,5/5
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