Il sostegno al malato terminale

Da Psychomer
by Claudia D'Incognito on settembre 28, 2012

Le moderne pratiche di cura garantiscono senza dubbio delle aspettative di longevità molto più favorevoli rispetto al passato. Tuttavia ciò porta a conseguenze sanitarie e sociali a cui i servizi territoriali sono spesso impreparati. È ormai nota la condizione del malato terminale, come di colui che viene dichiarato a rischio di morte dai servizi medici, quando ancora il suo stato di salute sembra buono o il grado della malattia è lieve.

Nessuno è preparato a sentirsi dire che presto cesserà di vivere, soprattutto se ancora giovane e magari con una famiglia. Solitamente questa condizione provoca notevole confusione e un tumulto crescente di emozioni, che sconvolgono totalmente la routine quotidiana sia dell’individuo che di coloro che lo circondano. La medicina tradizionale sta trovando rimedi sempre maggiori per allungare favorevolmente la vita di chi soffre.

Attualmente sta prendendo posizione un approccio di cura che prevede di accompagnare il morente parlare di morente significa parlare di qualcuno che si sta spegnendo, che è entrato nel processo del morire). Questa concezione può far pensare che la persona abbia abbandonato il processo del vivere, come se morire e vivere fossero due cose separate. La parola morente sottende il rischio di vedere solo la fine del percorso di vita, portando chi assiste il paziente a rimanerne condizionato in maniera eccessiva a tal punto da dimenticare che ognuno di noi è un morente e vivente al tempo stesso.

Il cosiddetto morente è un essere vivo, talvolta ancora più vivo di quando era considerato in salute. Ha emozioni, bisogni e desideri molto forti, chiari, evidenti, quanto semplici e basilari, proprio perché sta facendo i conti con la vita vissuta e conosciuta fino a questo momento.

Accompagnare il morente è senza dubbio un compito arduo che coinvolge due individui: colui che si sta avvicinando alla propria morte e la persona che – per caso, parentela o scelta professionale – si trova ad affiancarlo in questo percorso.

Un professionista d’aiuto che decide di affiancare la persona e la sua famiglia in questi momenti deve prendere piena consapevolezza delle difficoltà emotive cui va incontro, soprattutto relative al proprio vissuto emotivo. Occore agire preventivamente facendo un lavoro di presa di coscienza su quali sono i confini del proprio intervento professionale, individuando un modo personale ed efficace per accogliere, dare sostegno e lasciare andare il morente. L’operatore d’aiuto deve inevitabilmente conoscere e saper accettare le proprie emozioni dinanzi alla morte per integrarle nella propria professionalità e farle diventare uno strumento di lavoro, una risorsa. L’obiettivo finale deve restare quello di accompagnare la persona, in maniera silenziosa, rispettosa, assecondando le necessità che giorno per giorno si possono manifestare e perseguendo la tutela della sua dignità.


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