L’articolo 28-9-2015 di Cosimo Perrotta
Actores y conflictualidad social. República Dominicana años 80
Vanna Ianni, sociologa dello sviluppo dell’Università di Napoli, ha pubblicato di recente un libro, Actores y conflictualidad social. República Dominicana años 80,[1] che raccoglie i suoi saggi, frutto di osservazione diretta, su quel paese, preceduti da una lunga Introduzione.
Si tratta di un lavoro molto interessante per due motivi. Innanzitutto esso ci ricorda che il sottosviluppo non è soltanto dominazione dall’esterno, da parte di una economia più forte; esso è anche dominazione interna, da parte di élite sociali alleate dei dominatori esterni. Queste élite veicolano i processi di distorsione e di sfruttamento, e ne beneficiano ampiamente. Inoltre la fine analisi della Ianni porta allo scoperto i meccanismi di interiorizzazione di questa dominazione: un fenomeno del sottosviluppo ancor più esiziale del mero dominio di una parte sull’altra, perché riguarda le relazioni sociali e il costume, in una parola la cultura del sottosviluppo.
Il dominio e i privilegi non creano solo assuefazione nei dominati, ma anche meccanismi di apprendimento, di identificazione e di riproduzione dei ruoli sociali. Per di più, questi processi auto-repressivi – mentre si indeboliscono nei momenti di sviluppo e di lotta per maggiori spazi di libertà – tornano a dominare, anche a distanza di tempo, quando una crisi economica indebolisce le tendenze al rinnovamento. Non a caso la fragilità (dei processi democratici e rivendicativi) è la chiave di analisi principale del libro.
La Repubblica Dominicana, dopo la caduta del dittatore Trujillo (1961) intraprende un lungo, tortuoso processo di emancipazione economica e politica, che culmina nei tentativi degli anni Ottanta di dare un assetto democratico stabile e di intraprendere uno sviluppo economico di lungo periodo. I tre lunghi saggi, scritti alla fine degli anni Ottanta, analizzano proprio gli anni centrali di quel decennio per quanto riguarda l’organizzazione e le lotte sindacali; l’evoluzione dei Centros de Educación Popular, i frenetici processi di cambiamento nell’aggregazione sociale dal basso e il ruolo delle ONG; infine, la natura e le lotte di un quartiere fondamentale nell’aggregazione sociale di Santo Domingo (Capotillo).
I saggi sono preceduti da una lunga Introduzione, il cui succo – per quanto riguarda il nostro tema – è sintetizzabile come segue. I processi di globalizzazione hanno incoraggiato lo sviluppo dei grandi paesi del terzo mondo, i famosi Brics (grazie, notiamo, all’ampiezza sia del mercato interno sia delle risorse naturali), riducendo le distanze tra questi e i paesi occidentali. Ma gli stessi processi hanno invece ulteriormente indebolito la capacità di sviluppo dei paesi più piccoli e più deboli – come la Repubblica Dominicana. Per questi, non solo le distanze con i paesi ricchi sono aumentate, ma l’aumento interno delle disuguaglianze tra ceti sociali – un fenomeno che riguarda tutti i paesi – appare più grave. Questo è il quadro generale che spiega la ritornante precarietà e fragilità nella maturazione democratica di un piccolo paese ex-coloniale. L’indebolimento attuale delle forze di progresso ridà fiato ai vecchi impedimenti che da sempre ostruiscono, dice Ianni, lo sviluppo. Il fattore fondamentale che innesca i processi negativi è l’abitudine ad una società autoritaria, ereditata dal lunghissimo periodo coloniale.
Le élite dominanti conservano i loro privilegi grazie al controllo della macchina amministrativa e di governo; un controllo che rende poco credibile la pretesa dello stato di rappresentare l’interesse generale. E’ questa prassi atavica che impedisce da sempre la piena legittimazione dello stato e dei governi. D’altra parte, i meccanismi autoritari si riproducono persino all’interno delle istanze progressive di protezione dei lavoratori, di democrazia e di partecipazione. I sindacati indeboliscono l’efficacia della loro protezione riproducendo i moduli autoritari e non dando spazio all’espressione dal basso. Essi finiscono sempre con l’obbedire alle necessità politiche dei partiti progressisti. Lo stesso avviene per le ONG e per i numerosi corpi intermedi nati per rappresentare le istanze dal basso e incoraggiare l’educazione dei ceti popolari.
Tutte queste attività soccombono alle tendenze paternalistiche e alle logiche di direzione dall’alto. I partiti progressisti ritengono di rappresentare la sintesi politica di tutti i diritti e i bisogni popolari e quindi di poter aggirare le istanze specifiche che esprimono dal basso tali bisogni. Essi ritengono che attardarsi ad ascoltare quelle istanze rallenti il processo di emancipazione. In realtà, si capisce alle analisi della Ianni, avviene esattamente il contrario: la riduzione di tutte le istanze culturali e sociali alla loro espressione politica impoverisce il processo di emancipazione e lo indebolisce al punto da renderlo permanentemente precario.
Nel ricco quadro analitico del libro, l’unico fenomeno che riesce a sfuggire a questo condizionamento è la lotta del quartiere Capotillo, basata sulla spontaneità e l’auto-organizzazione dal basso. Ma è una lotta priva di analisi e di strategia, e quindi è destinata a soccombere.
[1] Editora Universitaria de la Universidad Autónoma de Santo Domingo, 2015.