Israele, 2000.
Il mio primo limpido ricordo legato ad un souk raffigura me che cammino mano nella mano con mio padre tra le bancarelle colorate di Gerusalemme quando all’improvviso si avvicina un tipo abbastanza losco che ci offre dieci cammelli in cambio della “bambina bionda”, cioè io, e “della donna”, cioè mia madre. Ricordo benissimo anche la risposta ironica (spero) di mio padre e la faccia perplessa del mercante:
“Ma poi dieci cammelli come ce li metto sull’aereo?“.
L’ultimo ricordo invece è legato a Marrakech che, in merito ai souk, è forse una tra le città regine. Il bello è che una volta che ti rapiscono poi è difficile uscirne, ma davvero. Ci si ritrova catapultati in una ragnatela di vicoli che si intrecciano mentre i venditori più carismatici sfoderano il loro migliore sorriso e ti invitano ad entrare nel negozio di cianfrusaglie di turno, quelli più disperati tentano proprio di trascinartici dentro. Tralasciando i convenievoli.
Facendo attenzione a mettere i piedi nel posto giusto per evitare di finire in una delle pozzanghere tra le più lercie che avessi mai visto, mi lasciavo avvolgere da un luogo capace di sfiorare tutti i sensi e se la contrattazione fosse il sesto, qui troverebbe la sua quintessenza.
Nel caos tipico, mi rendevo conto dell’organizzazione di cui gode in realtà il souk di Marrakech, rigorosamente diviso in zone. C”è quella dedicata alle stoffe, quella in cui spezie delle quali nemmeno sapevo l’esistenza facevano da padrone agli scaffali e poi c’era lei, la più strana, nonchè meno igienica macelleria!
Avrei tanto voluto scattare qualche foto ma, appena le mie mani hanno toccato la reflex, un macellaio tirato fuori da non so quale film horror ha iniziato ad urlarmi contro parole incomprensibili mentre tentava di immobilizzare il coniglio al quale, due minuti dopo, avrebbe tagliato la testa.
Nel souk di Marrakech funziona così: su un maleodorante ed enorme tappeto di terra e paglia sono disposti vari banconi che ospitano tantissime gabbie contenenti animali rigorosamente vivi. Il cliente va lì, sceglie la cena ed i macellai provvedono ad ucciderla.
A prescindere dalle condizioni igieniche, i souk rappresentano uno spiccato di vita quotidiana del paese, sebbene abbiano in parte adottato e tratto a loro favore l’insorgenza del turismo, basti pensare che accanto ad ogni bancarella di tappeti o spezie, c’è sempre un negozietto di souvenir.
Se decidete di visitarne uno, esperienza che io consiglio fortemente, vi raccomando di stare molto attenti ad i motorini (quelli che noi usavamo negli anni 90) perchè sfrecciano tra un vicolo e l’altro e la guida marocchina è un pò, come dire, azzardata.