Il “South Stream” nel contesto geopolitico

Creato il 27 giugno 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Come ha confermato il Presidente russo Vladimir Putin in occasione dell’apertura dei lavori del vertice UE-Russia, la costruzione del gasdotto South Stream inizierà alla fine dell’anno1. “Abbiamo in programma di iniziare la costruzione di questo gasdotto alla fine dell’anno in corso. Penso che occorreranno circa un anno e mezzo o due anni perché il sistema entri in funzione”, ha dichiarato. Secondo Putin, durante lo scorso anno l’attuazione di questo progetto ha ricevuto un ulteriore impulso da parte della Turchia, grazie alla definitiva concessione della posa di un tratto del gasdotto sul fondale del Mar Nero2. Il progetto prevede di aumentarne la capacità di transito a 63 miliardi di metri cubi all’anno. Il costo stimato è di 15,5 miliardi di euro.

Il gasdotto South Stream ed il suo omologo settentrionale Nord Stream rappresentano due elementi chiave per la realizzazione della strategia russa volta a garantire la sicurezza energetica dell’Europa. L’obiettivo principale di questa strategia è ridurre i rischi di transito dovuti a problemi di carattere tecnico e, soprattutto, a questioni di natura politica. Negli ultimi anni gli Europei hanno già dovuto affrontare il deficit di risorse energetiche russe quando le autorità ucraine e bielorusse, in ragione dei propri interessi, sono venute meno all’adempimento dei propri obblighi di transito per poi effettuare prelievi non autorizzati di gas destinato all’Europa Occidentale. Dopo l’entrata in funzione dei due gasdotti russi, tale problema apparterrà al passato. Questo permetterà all’Europa di non dipendere più dall’umore variabile di Kiev o Minsk, ed allo stesso tempo di creare una rete trans-europea di fornitori, Paesi di transito e consumatori di risorse energetiche.

A tale riguardo proprio South Stream riveste una funzione decisiva, in ragione della grande estensione del gasdotto e della fascia di territorio che le sue infrastrutture occupano. Vale la pena rammentare che per l’elaborazione di un progetto di così ampia portata sono bastati meno di cinque anni, malgrado siano sorte periodicamente complicazioni di natura geopolitica. Il primo documento per la realizzazione del South Stream è stato il Memorandum d’Intesa firmato a Roma nel giugno 2007 tra il vice-Presidente di Gazprom, Aleksandr Medvedev, e l’Amministratore Delegato dell’ENI, Paolo Scaroni3.

Nel luglio 2008 è stato ratificato l’accordo sulla partecipazione al progetto della Bulgaria. Con la Serbia, altro partner decisivo nella costruzione di South Stream, sono stati invece firmati accordi preliminari nel dicembre 2006 tra Gazprom e il monopolista di Stato Srbijagas. Essi concernevano la conduzione congiunta di perizie tecniche in vista della possibile costruzione, da parte serba, di un tratto del gasdotto al confine con la Bulgaria. Per sviluppare tali accordi, nel gennaio 2008 a Mosca sono stati firmati una serie di documenti inter-governativi sulla cooperazione in ambito energetico, che nello specifico prendevano in considerazione la costruzione di un ramo serbo di South Stream dal confine con la Bulgaria. Inoltre, con essi si pattuiva l’assistenza finanziaria russa per la costruzione di impianti di stoccaggio del gas nella provincia della città serba di Banatski Dvor. Cominciando in Bulgaria e continuando in Serbia, un ramo del gasdotto avrebbe dovuto attraversare l’Ungheria fino alla stazione austriaca di distribuzione del gas di Baumgarten. Ma in caso di possibili complicazioni politiche, la parte russa ha predisposto una variante di riserva per la rotta di trasporto che passi per Croazia e Slovenia fino alla stazione austriaca di distribuzione del gas di Arnoldstadt. Inoltre, il gruppo ungherese MOL, in accordo con Gazprom, avrebbe preparato un’ulteriore alternativa: qualora la parte austriaca declinasse la partecipazione al progetto, la funzione di distribuzione del gas della stazione di Baumgarten sarebbe adempiuta dall’analogo impianto nel villaggio ungherese di Városföld4.

Come ha dimostrato la pratica, una tale lungimiranza si è rivelata assolutamente opportuna. Fin dall’inizio South Stream è stato al centro di contese geopolitiche portate avanti dall’Unione Europea. Bruxelles ha un’idea della sicurezza energetica abbastanza diversa, che si basa sull’esclusione della Russia quale fornitore di energia. A tal fine, la Commissione europea già nel 2003 ha fornito un sussidio per condurre una ricerca nell’ambito del progetto Nabucco. La dichiarazione, adottata nel gennaio 2009 a Budapest nel pomposo “Vertice sul Nabucco”, descriveva il progetto come “innovativo, sostenibile ed affidabile”, destinato a “connettere direttamente i fornitori di gas naturale della regione del Caspio e del Medio Oriente con l’Unione Europea, la Turchia e la Georgia”5.

Alla prova dei fatti la creatura dell’UE è risultata inaffidabile ed insostenibile. Secondo il “New York Times”, le condutture di Nabucco potrebbero fare affidamento sicuro solo sulle forniture di gas dall’Azerbaijan6, che in realtà non coprono più del 12% del volume previsto per il progetto. Le forniture dalla Russia, anche senza South Stream, coprono già il fabbisogno di gas dell’Unione Europea per non meno di un terzo7. Inoltre, tra Mosca e Baku sono in corso trattative per l’aumento dell’acquisto di gas azero da parte della Federazione Russa, il che rende ancora più deboli le prospettive del Nabucco. Come ultima istanza, per disperazione, l’UE cercherà di includere i giacimenti petroliferi dell’Iraq e dell’Iran, sebbene siano evidenti i rischi politici e militari di una simile scelta.

Per cercare di invertire la situazione i funzionari dell’UE si sono affrettati ad usare la leva politica. La Commissione Europea ha praticamente costretto l’Austria a rifiutarsi di partecipare al progetto, facendo riferimento ai difficili rapporti tra Mosca e Bruxelles nella sfera energetica e all’impossibilità di concedere a Gazprom l’utilizzo di una stazione di distribuzione del gas strategica per l’UE come quella di Baumgarten. Quindi, la parte russa ha risposto prontamente: invece della hub-station austriaca, il gas passerà attraverso la Slovenia fino alla città italiana di Treviso. L’Amministratore Delegato di Gazprom Aleksej Miller ed il Primo Ministro sloveno Janez Janša hanno già concluso il relativo accordo. Quando sono emersi problemi con l’Ungheria per il prolungato sviluppo dello studio tecnico-economico della parte ungherese del gasdotto, la Croazia ha confermato la sua volontà di prendere parte al progetto. “Stiamo già discutendo con la leadership croata per la costruzione della deviazione del gasdotto e abbiamo percepito il grande interesse di Zagabria nell’ospitare la linea di transito russa”, hanno fatto sapere fonti di Gazprom attraverso i mass media russi8. Tuttavia, non sarebbe opportuno neppure escludere completamente l’Ungheria. Secondo l’AD di Gazprom Aleksej Miller, “per ora non percepiamo particolari difficoltà con l’Ungheria relativamente ad una qualche scadenza critica. Quindi, non direi proprio che per ora abbiamo problemi con l’Ungheria. Certo, mi riferisco al periodo attuale”9. Per quanto riguarda la Bulgaria (il cui governo Borisov nel 2011 aveva iniziato ad esprimere dubbi sull’opportunità che il Paese partecipi al progetto South Stream), Sofija resta comunque intenzionata a prendere “parte attiva” al progetto, secondo quanto dichiarato il 5 giugno dalla Vice-Ministro dell’Economia, dell’Energia e del Turismo Evgenija Haritonova10. Secondo le informazioni disponibili, il fattore chiave in questo caso potrebbe essere stata la promessa da parte russa di rimpiazzare nel progetto la Bulgaria con la Romania: i due Paesi hanno relazioni storicamente difficili e tradizioni di lotta per l’egemonia regionale nel Sud-Est europeo. Così, ad oggi la probabile linea terrestre del South Stream è la seguente: dal porto bulgaro di Varna attraverso Serbia, Ungheria (o Croazia), e Slovenia fino in Italia.

E il Nabucco? Dopo il fallimento dei tentativi di trovare la necessaria quantità di gas per le condutture progettate, gli esperti europei hanno constatato con rammarico che il costo del progetto, in luogo degli 8 miliardi di euro originariamente previsti, non sarà inferiore ai 14 miliardi. Di conseguenza, secondo i media occidentali, la Commissione europea è già pronta ad abbandonare la realizzazione di un progetto così non redditizio, ma ha ancora paura a dirlo a voce alta. Come ha dichiarato il Rappresentante della Commissione Europea Marlene Holzner, la decisione sul progetto di costruzione del gasdotto Nabucco verrà presa dal consorzio dei suoi partecipanti “alla fine di giugno”11. Il consorzio comprende anche la British Petroleum, l’azera Socar e la norvegese Statoil, e i membri odierni includono la austriaca OMV, l’ungherese FGSZ, la bulgara Bulgargaz, la rumena Transgaz, la turca Botas e la tedesca RWE. Tuttavia il gruppo MOL, che possiede il 100% della società di trasmissione del gas FGSZ ha già dichiarato la propria disponibilità a vendere la propria partecipazione al progetto Nabucco, riferendosi alle incertezze riguardo le risorse di base ed i finanziamenti.

Nonostante Marlene Holzner sottolinei che “la versione originaria del Nabucco è ancora sul tavolo di discussione”, con un ampio margine di certezza possiamo dire che il progetto nella sua forma attuale non verrà realizzato. Oltre alla compagnia ungherese, un altro membro chiave del consorzio come British Petroleum esprime scetticismo. In ogni caso, il responsabile della raffinazione e commercializzazione della BP, Iain Conn, ha già annunciato che il consorzio per lo sviluppo del giacimento azero Shah Deniz non considera più Nabucco come una possibilità di trasporto del gas dal sito di estrazione. Ciò riduce praticamente a zero la capacità di riempimento della pipeline.

Tuttavia la battaglia energetica non è terminata e al più presto potrebbero prendervi parte, ancor più attivamente, gli Stati Uniti. Vale la pena ricordare che nel 1945 il Dipartimento di Stato ha descritto le risorse energetiche come “una fonte inesauribile e strategica di energia, che costituisce uno dei più attraenti trofei nella storia del mondo”. Non sorprende che nella visione degli USA uno degli obiettivi di dominio globale sia quello di “mantenere il controllo delle principali fonti di energia nel mondo”12. Nel “Piano Strategico per gli anni fiscali 2007-2012″, preparato dal Dipartimento di Stato nel 2007, per la prima volta dopo la fine ufficiale della guerra fredda l’amministrazione statunitense ha definito come una sua priorità strategica il contrasto della crescente influenza della Russia nel mercato globale dell’energia e di volere per questo “impedire l’unione energetica di Russia ed Europa”. Nel documento viene sottolineata la necessità di costruire gasdotti che partano dalle regioni del Mar Caspio e dell’Asia Centrale verso l’Europa occidentale aggirando la Russia, e parallelamente di utilizzare metodi politici, finanziari, economici o di altro tipo a disposizione dagli Stati Uniti per contrastare la realizzazione dei progetti russi di trasporto di energia attraverso la penisola balcanica13. E della capacità di Washington di utilizzare metodi diversi per raggiungere obiettivi di portata globale in ambito energetico possono fungere da esempio almeno i casi dell’Iraq e della Libia.

Inoltre, alla luce del recente sviluppo della situazione attorno a South Stream e a Nabucco, sfavorevole per gli architetti occidentali del “Nuovo Ordine Mondiale”, è lecito attendersi l’utilizzo del fattore azero nelle manovre politiche degli USA e dell’UE. Lo scopo è quello di persuadere Baku ad assumere una posizione ad essi più favorevole, nello spirito della celebre formula dell’ex-consigliere presidenziale statunitense sulla sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski14. Quest’ultimo sottolinea che proprio “l’Azerbaijian, con le sue vaste risorse energetiche, riveste una funzione chiave anche sul piano geopolitico. È il tappo della bottiglia che contiene le ricchezze del bacino del Mar Caspio e dell’Asia Centrale”. In aggiunta, secondo Brzezinski, l’Azerbaijian “è diventato un’importante arteria per l’accesso delle economie avanzate e consumatrici di energia alle repubbliche centroasiatiche ricche di energia”15. L’intensificazione degli sforzi dell’Occidente in direzione dell’Azerbaijan, a sua volta, implicheranno importanti mutamenti circa la risoluzione della questione del Nagorno-Karabakh, il cambiamento della politica dell’UE nei confronti della Turchia e la ridefinizione delle priorità in altri aspetti nella situazione geopolitica della regione, che avranno un significato di vitale importanza per la Russia.

(Traduzione dal russo di Serena Bonato)


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