Difficilmente subisco il fascino dei best seller. Di solito, mi hanno già stancata alla terza recensione in cui mi imbatto. Quando ho visto il libreria una pila di copie di Non sono quel tipo di ragazza, le ho guardate col solito sospetto, o forse no… Forse questo libro potrebbe distrarmi, strapparmi un sorriso, forse ho bisogno di una lettura leggera. Ho buttato qualche furtiva occhiata intorno e ho allungato il braccio: ecco qua, afferrato un volume. L’ho rigirato tra le mani, ho sfogliato qualche pagina, poi mi sono detta: No. Non sei il tipo di ragazza che legge questa roba. Ma nella vita non si può mai dire, così, una settimana dopo ero per caso in quella stessa libreria, davanti allo stesso scaffale di libri idioti, tra cui il vagamente pornografico World’s awesome tits e il suo collega di collana World’s best penis, gli stupidissimi libri a puntate di quella deficiente della Kinsella e l’ultima fatica della Bignardi (immagino si tratti del peggiore dei quattro). Mi sono diretta alla cassa con spavalderia, esibendo la mia scelta al librario e pensando con compiacimento che lui non sa che sul mio comodino, proprio adesso, ci sono le Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica. Insomma, era mio.
Ora posso dire di capire perché questa ragazza ha avuto successo. La quarta di copertina dice che Gli anni Duemila hanno avuto Carrie Bradshaw di Sex and the City e ora è il momento di Lena, ma il paragone è francamente ingiusto. Lena Dunham ha qualcosa da dire non solo perché scrive cose sfacciatamente volgari, ma perché sa farlo con un’ironia che le giustifica; perché non ci sono riempitivi in questo libro, ma duecentosessanta pagine di una simpatia non sofisticata ma intelligente; perché questa ragazza ti incuriosisce e perché sa descriversi abbastanza bene da farti credere di conoscerla, come conosci i personaggi di fantasia dei romanzi; perché ci sono pagine di una malinconia non spicciola, ma vera, e raccontata bene. Ecco, è un libro scritto bene da una persona che di speciale non ha soltanto un disturbo ossessivo-compulsivo e un po’ di ciccia che la rende non that kind of girl, l’anti-eroina in un mondo di supermodelle, ma un insieme di esperienze strambe, l’intelligenza per comunicarle, lo humor per renderle interessanti. E il suo aspetto fisico poco conta, non è il suo essere bruttina a farla emergere da un mondo di ragazze con la pancia piatta e lunghi capelli lucidi, perché la Dunham non è l’antitesi di nessuno e non cavalca l’onda dell’altrui perfezione per sentirsi speciale.