Magazine Cultura

Il Sud ci salverà? Una lettura controcorrente

Creato il 14 marzo 2012 da Cultura Salentina

di Anna Rita Longo

Il Sud ci salverà? Una lettura controcorrente

Nel 2010, a circa un anno dai festeggiamenti per il centocinquantenario dell’Unità d’Italia, in mezzo alle tante parole che riproponevano la consueta lettura del Risorgimento italiano, si era levata la voce – dissonante e non a tutti gradita – di Pino Aprile, che, con il suo Terroni, osò dire che il quadro che fino a quel giorno ci era stato dipinto non era del tutto veritiero né onesto, soprattutto quando si parla dell’annessione del Sud.

Il polverone sollevato dal libro è stato notevole: a molti le parole di Aprile sono apparse dissacranti e pericolose, oltre che inopportune per via delle imminenti celebrazioni.

Il Sud ci salverà? Una lettura controcorrente

Michelina de Cesare, guerrigliera meridionale ammazzata dall'esercito sabaudo e fotografata dopo la morte

Ma che cosa c’era di tanto pericoloso in Terroni? Nulla di ignoto agli storici, ma certamente Pino Aprile ha il merito di aver fatto opera di divulgazione, portando a conoscenza anche dei non specialisti quello che tutti i libri scolastici sembrano ignorare.

Il problema, in effetti, non è domandarsi se e quanto si possa ritenere condivisibile la ricostruzione storica di Pino Aprile: è cosa nota a tutti coloro che si occupano di storia il fatto che le prospettive di esame e giudizio del passato siano potenzialmente illimitate. Quello, però, che sembra opportuno, nelle scuole come in tutte le agenzie formative, è far sì che l’accesso a tutte le possibili letture della storia sia alla portata di tutti. Non è, infatti, società che si possa definire moderna quella che permette la censura della storia o, quanto meno, di una sua ricostruzione.

Nel suo ultimo saggio Giù al Sud. Perché i terroni salveranno l’Italia, uscito da pochi mesi per i tipi di Piemme, l’autore prosegue il discorso iniziato con Terroni e vi aggiunge una poderosa pars construens: percorrendo un ideale viaggio nel Sud che molti ignorano, nel Sud migliore dove l’iniziativa e il coraggio non mancano, ci fa capire quanto questa parte d’Italia possa rivelarsi una risorsa importante per la rinascita del Paese.

Nel frattempo, l’autore porta avanti la sua opera di divulgazione storica, con il resoconto di pagine drammatiche, come quella del terribile terremoto di Messina del 1908, nel quale l’Italia giolittiana diede il peggio di sé sulle spalle di una città ferita a morte. Ma non mancano anche le tante luci di speranza, nelle parole e nelle azioni di chi, non amando piangersi addosso, sceglie la via del fare. In questo Sud di cui nessuno parla mai c’è chi, rinunciando a una carriera più agevole “altrove”, sceglie di rimanere in loco per far crescere la propria terra avviandovi progetti originali e di grande successo. Vi è chi fa scuola di accoglienza e tolleranza, chi produce cultura e la diffonde. Insomma, quanto di più diverso dallo stereotipo imperante, quello che stigmatizza senza sforzarsi di capire. «Le analisi per giudicare il Sud sono svelte, perché il giudizio le precede. E quel giudizio è per sempre», afferma l’autore nell’introduzione del suo lavoro. E proprio per evitare questa condanna sommaria decide di presentarci l’altra faccia del Meridione d’Italia.

In breve, si tratta di un testo che, come il precedente, merita senza dubbio una attenta lettura, che si condivida o meno l’interpretazione che vi viene sostenuta. Nella società del pensiero comune abbiamo quanto mai bisogno di altre campane.

Poniamo ora all’autore, che si è gentilmente offerto di rispondere, alcune domande in merito alle più interessanti e controverse questioni affrontate nei suoi libri.

1) Tra le critiche che sono state mosse ai suoi libri vi è quella che conoscere i lati meno edificanti e più oscuri del Risorgimento possa portare a una diminuzione del già precario sentimento di unità nazionale. Insegnare, in primo luogo nelle scuole, come è davvero stata fatta l’Italia indurrebbe, secondo alcuni, i giovani ad amarla di meno. Ma bisogna davvero aver paura che i nostri ragazzi conoscano la verità?

«Conoscere meglio come è stata unificata l’Italia (nel sangue, con l’aggressione e la rapina), discuterne, non può che unire gli italiani, più di quanto non lo siano ora, divisi, anzi, da pregiudizi che anche in quella mancata conoscenza affondano le radici. Un esempio e una prova: c’era grande risentimento a Pontelandolfo (e non solo, al Sud), nei confronti della città e del sindaco di Vicenza che, ogni anno, deponeva una corona d’alloro dinanzi alla lapide che ricorda il nobile vicentino Pier Eleonoro Negri, che guidò, da colonnello dei bersaglieri, nel 1861, la rappresaglia contro Pontelandolfo, il massacro della popolazione, la distruzione totale del paese. La riproposizione di quella vicenda dimenticata ha indotto il sindaco di Vicenza a recarsi a Pontelandolfo, nel centocinquantesimo anniversario della strage, e a porgere le scuse della città. Un gesto che ha sicuramente unito molto di più gli italiani di Vicenza e di Pontelandolfo, dopo 150 anni! Oltretutto, questo accadeva nello stesso giorno in cui il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, tramite il presidente del Comitato per i 150 anni, Giuliano Amato, chiedeva perdono a Pontelandolfo, a nome del Paese.»

Il Sud ci salverà? Una lettura controcorrente
2) E dunque, scendendo nei particolari, qual è questo Sud che i nostri ragazzi dovrebbero studiare e che, molto spesso, non sentono neppure nominare? Quale Mezzogiorno manca nei libri di storia? Quali sono, a suo avviso, i contenuti storici irrinunciabili tuttora sottratti alle giovani menti in formazione?

«Quei contenuti stanno venendo fuori, finalmente. Non che fossero ignoti, almeno nelle grandi linee, ma non lo erano e lo sono ancora poco a livello popolare, non vengono divulgati a scuola. Così, il Risorgimento viene narrato in modo che consegna un Sud luogo di ogni male, nefandezza, povertà, ignoranza, bisognoso di liberazione. Non era un paradiso (nemmeno il Nord lo era), ma non era nemmeno l’inferno, come ancora si continua a “dimostrare” oggi. C’erano ritardi ed eccellenze, buone leggi e cattive leggi, un basso livello di vita, ma era basso anche al Nord (l’Italia era, nel complesso, più povera di altri Paesi europei), eppure dal Mezzogiorno non emigrava nessuno; e quando fu “liberato” (da chi? Nessuno straniero la occupava, diversamente dal Lombardo-Veneto), combatté per anni, fu sconfitto e si dette alla fuga: l’emigrazione svuotò il Meridione per la prima volta. La nostra storia è molto più complessa e più sporca (più o meno come quella di altri Paesi nati in quegli anni, e non solo) di come la si racconta. L’Italia fu fatta con il sangue e i soldi del Sud.»

3) Nel suo ultimo libro lei scrive che nel Meridione si va rafforzando un fenomeno «da cui scaturì il popolo che fece l’Unità d’Italia: la mortificazione delle classi medio-alte e colte». Da ciò deriva la sua visione, molto interessante, di un Sud che non attende di essere salvato ma che salverà l’Italia. Il processo è, a suo avviso, già in moto?

«Qualcosa sta avvenendo, di molto interessante: una giovane classe dirigente, colta, capace, preparata, cui non si dà nulla da dirigere, cerca e trova strade inedite per fare cose nuove. Un’opera difficile, contrastata, ma che sta facendo emergere più di una speranza: ci sono paesi che rinascono grazie a questi ragazzi. Sono pochi (qualche migliaio), rispetto ai 700mila emigrati negli ultimi dieci anni. Ma non vuol dire nulla: la classe sociale che fece l’Unità d’Italia era simile a questa, e coinvolse poco più dell’1% della popolazione. Questi giovani guardano alla propria terra con la meraviglia del forestiero, considerano che il poco che riescono a trarvi, in queste condizioni, valga più del tanto che otterrebbero altrove. E non se ne vanno. O, addirittura, se già fuori, ritornano.»

4) Nel suo saggio lei si sofferma a elogiare quella che con un neologismo chiama “restanza”. Quali sono, a suo parere, le ragioni  – già attuali o da porre in essere – che i nostri giovani possono trovare per restare nel loro Sud?

«La ragione principale è una: le possibilità di sviluppo, al Sud, sono immensamente maggiori che nel resto del Paese. Se il Mezzogiorno otterrà, come ormai chiede con inedita insistenza, la parità di infrastrutture con il resto d’Italia (aeroporti, autostrade, servizi, ferrovie addirittura in fase di arretramento…), le risorse meridionali potranno finalmente essere sfruttate come meritano. Non è affatto facile, ma c’è una consapevolezza nuova, al Sud, che sta diventando azione, persino politica, seppur confusamente. Questo senso delle opportunità viene colto. E su questo, i giovani cominciano a scommettere. Credo facciano bene, anche perché quel partire che era una soluzione, con i tempi che corrono, non è più così conveniente come prima.»



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :