Il Sud è niente

Creato il 19 dicembre 2013 da Domenico11
“Se di una cosa non ne parli, non esiste”. Non sempre è così, ci sono assenze ingombranti e silenzi assordanti. D’altronde, per il Poeta “assenza” è “più acuta presenza”: lo sa bene Fabio Mollo, regista reggino all’esordio con Il Sud è niente, romanzo di formazione dell’introversa Grazia, interpretata dalla bravissima Miriam Karlkvist alla sua prima apparizione sul grande schermo.
L’assenza è quella di Pietro (Giorgio Musumeci), che nella versione familiare e ufficiale muore in Germania, dove si trasferisce per lavoro quando la sorella ha 12 anni. Grazia, che “incontra” il fratello sotto l’acqua del mare dello Stretto, si convince che Pietro è vivo. Di sicuro, sente che il padre – Cristiano, pescivendolo rassegnato cui presta il volto Vinicio Marchioni, noto al grande pubblico come “il freddo” della serie televisiva “Romanzo criminale” – non le ha raccontato la verità. “Con la verità ti puoi pulire il culo”, a Reggio Calabria. Perché la verità spesso non la puoi raccontare. Neanche se ti hanno ammazzato un figlio. Neanche se ti prendono la casa e ti costringono a chiudere l’attività commerciale, facendo ricorso ai noti ed efficaci metodi del sabotaggio sistematico. Neanche se ti “suggeriscono” di andare via, scappare lontano, al Nord.
Grazia attraversa la città in rabbiosa e ricercata solitudine, appena violata dal mormorio di dialoghi smozzicati, essenziali come il cast stesso del film: oltre a Grazia e Cristiano, Carmelo (Andrea Bellisario), figlio di giostrai che nell’incontro/scontro con Grazia offre una via d’uscita all’incomprensione; la nonna (Alessandra Costanzo), che racchiude nell’espressione hiatu meu l’essenza millenaria delle famiglie del Sud; Bianca (Valentina Lodovini), presenza per la verità quasi impalpabile, sulla quale forse si poteva osare di più.
Un silenzio carico di sguardi, pause, gesti, pronto a esplodere nella ribellione di Grazia, che indica la via stretta e accidentata del riscatto nello squarcio del velo di una incomunicabilità che è anche generazionale. Se speranza c’è (e il finale uno spiraglio esilissimo lo offre), ha volto di donna e urla capaci di spezzare le catene dell’omertà.
Scena più bella: il ballo sfrenato e liberatorio di Carmelo e Grazia nella pista dell’autoscontro.


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