Se John Garang, colui che a capo dei ribelli sudanesi si è da sempre battutto per un Sudan meridionale indipendente dal Nord fosse ancora vivo, sarebbe al settimo cielo per la gioia irrefrenabile.
Ormai è più che certo l'esito favorevole del referendum dello scorso gennaio così come è una realtà la nascita del nuovo Stato. Per l'esattezza il 54° d'Africa.
Il referendum popolare ha sancito la definitiva indipendenza di un Sud cristiano e animista da una Khartoum musulmana e agiata,dopo anni di guerra e di laceranti tensioni.
La pace tra Nord e Sud fu firmata a Nairobi appunto il 9 gennaio del 2005 proprio da John Garang e Omar El Bashir, il presidente sudanese.
Per quanto tutti felici e contenti i sudanesi del sud di un esito fortemente agognato, i veri problemi invece cominciano proprio ora.Tanto a sud quanto a nord.
A Sud ,pur essendoci una notevole quantità di materie prime importanti, a cominciare dal petrolio, che fanno gola tanto ai cinesi e non meno che agli egiziani, si presenteranno comunque delle sfide che si chiamano povertà, scarsità d'acqua, lo stesso petrolio di cui sopra si è detto, frontiere poco sicure e forse un effetto domino, che in Africa di questi tempi pare essere nell'aria, e che potrebbe riguardare forse la Somalia, lo Zambia, lo Zimbabwe e la provincia della Cabinda in Angola.
Inoltre resta aperta la questione del controllo delle acque del Nilo, della regione contesa dei Monti Nuba e della zona di Abyei, ricca di greggio, che un altro referendum deve stabilire se accorpare al Nord o al Sud.
Anche perché, ad esempio, necessariamente il petrolio del Sud dovrà essere raffinato e venduto al Nord, cioè a Port Sudan, e i proventi andare, ovviamente, divisi tra i due Stati. Ma come?
Problemi aperti ce ne sono tanti e tutti di non facile soluzione perché a Juba e nel Sud-Sudan c'è una estrema povertà a differenza della ricca Khartoum.
Ora occorre attendere il mese di luglio perché ufficialmente il Sud-Sudan possa dichiararsi Stato indipendente.
Ciò che si auspica è che, nel mentre, si ragioni e si progetti da parte della futura classe politica del Paese proprio sulle urgenze più urgenti.
Non basta un consenso popolare del 97% dei votanti.
Subito dopo occorrono fatti e non più parole.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)