L’immagine che più ci ha colpito della giornata di ieri è stata quella della faccia verdastra di Berlusconi all’uscita da Palazzo Grazioli non per andare a dimettersi ma per raggiungere Montecitorio dove, di lì a breve, sarebbe stata approvata con 380 voti favorevoli la legge di stabilità. Silvio, come sempre, è uscito a piedi per entrare nell’auto presidenziale che lo attendeva fuori. Ha sorriso e alzato la mano in segno di saluto ma, contrariamente alle altre volte, nessun applauso, nessun “Meno male che Silvio c’è”, nessun “Dio quanto sei bello e quanto ti amo”. Pernacchie, “dimettiti”, “buffone”, “vai via” e perfino qualche monetina da un cent visto che gli italiani di più non possono permettersi. Silvio era incredulo, non se lo aspettava. Era convinto che gli italiani lo amassero alla follia, dando implicitamente ragione a chi lo accusava di vivere in un'altra nazione e di essere psichicamente instabile. In pieno delirio amoroso, trasformatosi nel tempo in deliquio, Silvio non si capacitava che la gente potesse avercela tanto con lui, d’altronde s’era fatto i cazzi suoi convincendosi che, contemporaneamente, faceva anche quelli degli italiani. Non sono stati i mercati a farlo fuori. L’economia e l’alta finanza europea e mondiale gli hanno dato solo il colpo di grazia che, come tutti sanno, si tira a un morto per accertarsi che lo sia sul serio. Silvio si è politicamente suicidato. Ha negato pervicacemente per tre anni che ci fosse la crisi. Prima ha detto che non aveva scalfito l’Italia poi che ne eravamo usciti. Ha continuato a governare affidandosi alla finanza creativa di Tremonti che, notoriamente, opera come un ragioniere con il libro mastro: entrate, uscite, saldo. Ha speso un fottio di denaro, continuando ad incrementare il debito pubblico, non investendo in nulla ma provvedendo solo a non far esplodere la rabbia sociale: 3 miliardi di ore di Cig ne sono l’esempio più eclatante. Ha creduto fino alla fine che lo stellone italico lo e ci salvasse ma la crisi, questa volta, era diversa e uno stato governato da dilettanti non poteva essere in grado di tenerle testa. Ha permesso alle cricche di arricchirsi mentre affondava la sanità e la scuola pubblica, distruggeva il tessuto industriale del paese, sanava i bilanci delle banche che, a loro volta, hanno continuato a investire all’estero rendendo inaccessibile il credito in Italia. Ha reso questo paese ingovernabile dal punto di vista economico e instabile socialmente, ha dilaniato tre generazioni di giovani che all’improvviso si sono trovati di fronte solo la precarietà assurta a metodo di lavoro e prospettiva per il futuro. La nostra speranza è che Silvio campi ancora molto per essere processato dalla storia imputato di “stragismo di sogni” e “eccidio dell’intelligenza”. Ma è inutile parlarne, lo sanno tutti, e tutti per vent’anni gli hanno permesso di farlo. Sul dopo Silvio torneremo perché non abbiamo nessuna intenzione di mollare un paese che deve essere ricostruito dalle fondamenta. Vogliamo chiudere però con una considerazione personale. Quando Berlusconi è andato al potere nel 1994 avevamo 38 anni. Siamo invecchiati sotto il suo regime e fino a ieri eravamo convinti che non ne avremmo visto la fine. Abbiamo fatto il primo passo, ci siamo liberati (forse) del Re ma per quanto riguarda i sudditi non siamo sicuri di riuscire a farlo in questa vita. Per bonificare l’Italia dal berlusconismo occorreranno altri venti anni, il che rende improbabile il fatto che potremmo svegliarci una mattina e, respirando a pieni polmoni, dire a noi stessi: “Oggi mi sento un uomo libero”.
Magazine Politica
Il suicidio politico di Berlusconi. Oggi è una bella giornata ma ne vorremmo di bellissime
Creato il 13 novembre 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
L’immagine che più ci ha colpito della giornata di ieri è stata quella della faccia verdastra di Berlusconi all’uscita da Palazzo Grazioli non per andare a dimettersi ma per raggiungere Montecitorio dove, di lì a breve, sarebbe stata approvata con 380 voti favorevoli la legge di stabilità. Silvio, come sempre, è uscito a piedi per entrare nell’auto presidenziale che lo attendeva fuori. Ha sorriso e alzato la mano in segno di saluto ma, contrariamente alle altre volte, nessun applauso, nessun “Meno male che Silvio c’è”, nessun “Dio quanto sei bello e quanto ti amo”. Pernacchie, “dimettiti”, “buffone”, “vai via” e perfino qualche monetina da un cent visto che gli italiani di più non possono permettersi. Silvio era incredulo, non se lo aspettava. Era convinto che gli italiani lo amassero alla follia, dando implicitamente ragione a chi lo accusava di vivere in un'altra nazione e di essere psichicamente instabile. In pieno delirio amoroso, trasformatosi nel tempo in deliquio, Silvio non si capacitava che la gente potesse avercela tanto con lui, d’altronde s’era fatto i cazzi suoi convincendosi che, contemporaneamente, faceva anche quelli degli italiani. Non sono stati i mercati a farlo fuori. L’economia e l’alta finanza europea e mondiale gli hanno dato solo il colpo di grazia che, come tutti sanno, si tira a un morto per accertarsi che lo sia sul serio. Silvio si è politicamente suicidato. Ha negato pervicacemente per tre anni che ci fosse la crisi. Prima ha detto che non aveva scalfito l’Italia poi che ne eravamo usciti. Ha continuato a governare affidandosi alla finanza creativa di Tremonti che, notoriamente, opera come un ragioniere con il libro mastro: entrate, uscite, saldo. Ha speso un fottio di denaro, continuando ad incrementare il debito pubblico, non investendo in nulla ma provvedendo solo a non far esplodere la rabbia sociale: 3 miliardi di ore di Cig ne sono l’esempio più eclatante. Ha creduto fino alla fine che lo stellone italico lo e ci salvasse ma la crisi, questa volta, era diversa e uno stato governato da dilettanti non poteva essere in grado di tenerle testa. Ha permesso alle cricche di arricchirsi mentre affondava la sanità e la scuola pubblica, distruggeva il tessuto industriale del paese, sanava i bilanci delle banche che, a loro volta, hanno continuato a investire all’estero rendendo inaccessibile il credito in Italia. Ha reso questo paese ingovernabile dal punto di vista economico e instabile socialmente, ha dilaniato tre generazioni di giovani che all’improvviso si sono trovati di fronte solo la precarietà assurta a metodo di lavoro e prospettiva per il futuro. La nostra speranza è che Silvio campi ancora molto per essere processato dalla storia imputato di “stragismo di sogni” e “eccidio dell’intelligenza”. Ma è inutile parlarne, lo sanno tutti, e tutti per vent’anni gli hanno permesso di farlo. Sul dopo Silvio torneremo perché non abbiamo nessuna intenzione di mollare un paese che deve essere ricostruito dalle fondamenta. Vogliamo chiudere però con una considerazione personale. Quando Berlusconi è andato al potere nel 1994 avevamo 38 anni. Siamo invecchiati sotto il suo regime e fino a ieri eravamo convinti che non ne avremmo visto la fine. Abbiamo fatto il primo passo, ci siamo liberati (forse) del Re ma per quanto riguarda i sudditi non siamo sicuri di riuscire a farlo in questa vita. Per bonificare l’Italia dal berlusconismo occorreranno altri venti anni, il che rende improbabile il fatto che potremmo svegliarci una mattina e, respirando a pieni polmoni, dire a noi stessi: “Oggi mi sento un uomo libero”.
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