Le religioni monoteiste lo inculcano: "all'inizio fu il verbo". Tutte e tre difatti si reggono su dei libri, che sono contenitori di parole. Parole scritte come la fede impone siano state originariamente pronunciate da un dio.
Un primato inattaccabile. Al quale segue una significativa condanna dell'altro modo umano per trasferire fuori dal proprio corpo le immagini: produrre figure. Il cristianesimo non rimane imprigionato nell'iconoclastia perchè adotta una strategia più raffinata: le figure sono ammesse purché "illustrino" le parole. Guinzaglio ideologico che affonda le sue radici nell'evoluzione dell'alfabeto, un insieme di segni simbolici che da figure diventano particelle grafiche del linguaggio scritto.
C'è nell'essere umano un'insopprimibile necessità di canalizzare le immagini che produce nel suo corpo a flusso continuo. Le immagini sono essenziali per vivere, ma troppo pericolosamente incontrollabili. Possono condurre ad un tale eccesso di vitalità da risultare mortale e vanno depotenziate, normalizzate, rese trasmissibili senza eccessi e confusioni. Il linguaggio delle parole serve a questo. Dare sfogo alle immagini, ma in un ambito controllabile, misurabile persino.
Poi arrivò la fotografia e le immagini trovarono il modo automatico per manifestarsi oltre il controllo delle parole. Ecco perchè i detentori e gli aficionados del potere verbale si accaniscono con così tanta furia per normalizzare anche le fotografie. Leggerle, spiegarle, usarle come comodo secchio nel quale riversare parole su parole, poetiche, filosofiche, sociopolitiche e chi più ne ha più ne metta.
Per fortuna, l'immagine fotografica oppone una migliore resistenza dell'immagine tradizionale a questa continua aggressione verbale: il suo inafferrabile mutismo.