(…) Mentre tornava a casa, quella sera, una strana esultanza insegnò ai suoi piedi a danzare. Essa volteggiava qua e là, ora precedendo le sue bestie, ora seguendole. I suoi piedi saltellavano battendo un ritmo capriccioso. Aveva un motivo nelle orecchie e ballava con esso, buttando le braccia infuori e al di sopra del capo, e ondeggiando e piegandosi nell’andare. (…)
L’indomani sentì di nuovo quella musica, fievole e vaga, meravigliosamente dolce eppure sfrenata come il canto di un uccello, ma era una melodia che nessun uccello avrebbe saputo ripetere. C’era un tema che tornava sempre. In un fiotto di trilli, passaggi, volate e ritornelli, eccolo riaffiorare con una solennità strana, quasi sacra – una melodia che imponeva il silenzio, sottile, estremamente austera e distaccata. C’era in essa qualcosa che le faceva battere il cuore, qualcosa verso cui le sue orecchie e le sue labbra si tendevano con desiderio. Era gioia, minaccia, spensieratezza? Non lo sapeva; ma una cosa sapeva: che per quanto terribile fosse, era soltanto sua. Era il suo pensiero non nato divenuto misteriosamente suono, e sentito con l’anima più che compreso con la mente. (…)
Da La pentola dell’oro di J. Stephens
Ho pensato a questa…un movimento di sonata che in gioventù amavo molto:
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