Il turbolento passato di James “Whitey” Bulger potrebbe fruttare a Johnny Depp la quarta candidatura agli Oscar, dopo quelle per “La maledizione della prima luna” nel 2004, “Neverland – Un sogno per la vita” nel 2005 e “Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street” nel 2008. Assieme all’undicesima ai Golden Globe.
Lo troviamo protagonista nel terzo lungometraggio di Scott Cooper, “Black Mass”, che seguendo le tracce lasciate dall’omonimo libro-inchiesta del 2001, narra del patto maledetto stretto tra Jimmy e l’agente dell’FBI John Connolly (Joel Edgerton), che, profilandosi come un’alleanza d’affari, mirava a ripulire “Southy” (ossia i quartieri meridionali di Boston) dai mafiosi al centro del mirino di entrambi, così come dai nemici personali del gangster, il quale si ritrovava di conseguenza colle spalle coperte nelle sue floridissime e multiformi attività illecite, perpetrate tra gli anni ’70 e ’90 assieme ai membri della “Winter Hill”.
A discredito delle lamentele inerenti alla (stancante?) iterazione di tematiche simili, a ben vedere si è di fronte ad un film riuscito in quanto imbottito innanzitutto di personalità dal carisma decisivo. Le sequenze focalizzano l’attenzione dello spettatore parimenti su Whitey e Connolly, le cui traversie sono descritte in dettaglio mantenendole perlopiù separate, salvo farle convergere nei punti nodali della narrazione.
E’ una scelta intelligente, in quanto ridimensiona l’epica figura del criminale, che affidata alla retorica finissima di Depp avrebbe potuto suscitare facilmente una sconveniente idolatria. Appunto, ciò non è accaduto: il suo costante apparire e scomparire dallo schermo aumenta l’efficacia della performance, che insiste astutamente su sguardi gelidamente vitrei, requisitorie piazzate con minacciosa autorità, eliminazioni fisiche accompagnate da una sbalorditiva capacità di autocontrollo. E anche grazie ad un fenomenale apparato di truccatori, il profilo incarnato appare davvero autentico: l’attore è così ben calato nel ruolo che la consapevolezza di starsene seduti a gustare della buona finzione a tratti vacilla.
Elogi merita anche il resto del cast, attraverso cui si riesce ad entrare a fondo nelle dinamiche che, nell’universo legale ed illegale, influenzano giorno dopo giorno i destini di benzinai, prostitute, politici, anarchici e indipendentisti, spacciatori, trafficanti di armi, giocatori d’azzardo, poliziotti, fratelli, madri e mogli…
L’equilibrio e il piacere che ne derivano sono suscitati poi da uno script che fin dal principio accosta diversi piani temporali, dando voce e spessore agli spinosi moti che animano i protagonisti, cresciuti assieme in gioventù ed entrambi tenaci paladini del principio di lealtà, che non di rado si rivela o motore inarrestabile da cui dipendono vita e morte di diversi individui dalla condotta poco raccomandabile, chi per un verso, chi per un altro, o minaccia alla già di per sé difficile stabilità di un così scellerato compromesso (proteggere un informatore che fa di un lungofiume il proprio cimitero personale è ostica impresa).
In tutta franchezza, Cooper dirige con abilità la sua opera, senza particolari incursioni nell’autorialità, ma allo stesso tempo senza alcun vacillamento dettato da scelte formali opinabili. Pure solido e rispettabile esteticamente nella fotografia, che scava con apprezzabile lucidità nei chiaroscuri di anime corrotte, cui fungono da accompagnamento sonoro melodie cupe e profonde, “Black Mass” riesce a ritagliarsi un piccolo anfratto nel vasto panorama delle crime-fiction, territorio battuto da ere, e tuttavia ancora accessibile per vie, se non inedite, comunque ben lastricate.
Voto al film
Written by Raffaele Lazzaroni