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Il taccuino del giovane cinefilo presenta Carol di Todd Haynes

Creato il 17 gennaio 2016 da Alessiamocci

Tre anni prima di pubblicare “Il talento di Mr. Ripley” (1955), Patricia Highsmith scrisse con lo pseudonimo di Claire Morgan un coraggioso romanzo ambientato nella New York contemporanea, dove la giovane aspirante fotografa Therese, commessa presso i grandi magazzini Frankenberg nel periodo natalizio, tesse una relazione tutt’altro che canonica con una ricca signora madre in procinto di divorziare.

Todd Haynes (regista di “Lontano dal paradiso”, “Io non sono qui” e della miniserie tv “Mildred Pierce”) torna alle consuete atmosfere melò raggiungendo vette letteralmente antologiche. Il suo sesto prodotto, “Carol”, vive dell’amore fra due donne abitate da un fascino purissimo, abilissime nel plasmare un ascendente cui a stento lo spettatore sensibile dovrebbe resistere.

Il personaggio che dà il titolo all’opera è affidato ad una Cate Blanchett in stato di grazia, magnetica come raramente lo è stata, divisa fra l’attrazione fatale per il suo “angelo caduto dallo spazio” (Rooney Mara) e i dissapori legali che la vincolano ad un marito possessivo ed egoista (un credibile Kyle Chandler), che nella sua fastidiosa goffaggine cerca inutilmente un qualche supporto nella mal sopportata ex-amante di Carol (interpretata da Sarah Paulson).

Instaurando un confronto che riesca facile ed istantaneo, ci si rende presto conto di quanto siamo lontani dalle pulsioni erotiche che accendevano le giovani indimenticabili protagoniste de “La vita di Adele” (2013); ma è anche evidente come l’ambiente, l’epoca, la classe d’appartenenza, lo charme, il temperamento, siano tutti diversi, si distacchino naturalmente da questo tipo di inquadramento, il quale ovviamente non può che lasciare insoddisfatta un certa fetta di pubblico assetata di spettacoli “proibiti”, audaci siparietti che ostentino una qualche predisposizione alla seduzione e all’eccitamento dei convenuti, magari sotto l’egida di un cinema veritiero e “completo”.

Poco male, perché in realtà la vicenda mostrata è assolutamente plausibile (tanto più che si è voluto saggiamente conservare l’originale profilo anni ’50), credibilissima nell’altalenante relazione fra le protagoniste (tali infatti sono, nonostante l’indegna ed opportunistica diffusa classificazione della Mara in qualità di non primattrice): un legame che nasce all’improvviso e incatena le partner con passo lento ed inesorabile, puntuale e magistralmente misurato, nell’intento benedetto di scavare sì a fondo, ma nel cristallino rispetto degli animi e dei corpi, avvolti in un aura di incontaminata bellezza.

È difficile ricorrere ad una qualche logica o analisi (che denoti uno spessore effettivamente rispettabile, s’intende) per attaccare un’orchestrazione dallo stile così calcolato, esimio esempio di come si sappia ancora strutturare il metraggio conseguendo un equilibrio totale, accostando ogni tempo e sfumatura alle dinamiche di una “sinfonia di angoli e sguardi, di colori e ombre”, come si può piacevolmente leggere sul New York Times.

Il merito dell’eccezionale rilevanza artistica raggiunta da “Carol” è riconducibile anche ad un team di grandi talenti tutti nominati agli Oscar 2016, composto dalla sceneggiatrice Phyllis Nagy, la scenografa Judy Becker, la costumista Sandy Powell, il direttore della fotografia Edward Lachman, che riesce ad avvolgere l’intero arco del racconto in una patina autoriale raffinatissima (ben rappresentata dalle ricorrenti immagini di superfici umide).

Come previsto, sono state assegnate due candidature ad entrambe le anime del plot, mentre sono rimasti fuori dalla competizione il delicato commento sonoro vagamente minimalista di Carter Burwell e il non sufficientemente apprezzato Haynes; nell’insensata scelta di accettare solo 8 titoli invece di 10 per quanto riguarda la categoria règia, il lungometraggio malauguratamente non risulta in concorso. È quasi pleonastico sottolineare in chiusura come ciononostante il suo preziosissimo valore non venga in alcun modo né in minima parte biffato.

Voto al film

Written by Raffaele Lazzaroni


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