Una famiglia intende trascorrere cinque distensivi ”giorni di sci” alloggiando nella suite 413 di un residence montano. Ma il clima inizialmente rilassato viene progressivamente turbato da dissapori che nascono apparentemente da fatti dallo spessore trascurabile e vanno tuttavia a minare la serenità (non solo dei quattro, visto che si rivelano aggressori anche ai danni di un’altra coppia), fino all’equilibrio psichico.
Ruben Östlund si atteggia come un chirurgo, opera per piccole sezioni andando ad allestire un quadro generale che non può trovare il suo reale e totale compimento se non al termine dell’ultimo episodio.
Sotto la sua mirabile direzione, uomo e donna sono prima di tutto persone, risultanti dalla combinazione di moltissime varianti dello stesso spirito, spirito che trova in “Forza maggiore” un’approfondita ed apprezzabile rappresentazione.
Emergono nel corso del lungometraggio profonde incomprensioni, l’astio sfocia in attacchi frontali, i quali hanno un che di subdolo e allo stesso tempo di spontaneo; l’acredine s’accompagna ad amari sentimenti di vergogna, segno tangibile, duro e necessario, di crescita interiore.
E un aspetto da non sottovalutare è la scelta di dare alla vicenda un esito positivo, nel quale peraltro i bambini giocano un importante ruolo di stimolo.
La regia controllatissima, astuta e gelidamente ironica (e in questo prettamente nordica) stuzzica lo spettatore, facendogli credere che debba costantemente succedere qualche fatto eclatante, anche grazie al cupo apparato sonoro, quando invece i punti nodali giungono in inaspettati momenti strategici (The Guardian parla giustamente di “disaster movie senza disastro”); la costruzione di ogni singola inquadratura appare minuziosa (altra peculiarità sfruttata con giudizio dagli autori scandinavi, cfr. “Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza”), per cui si mostra solo ciò che serve e interessa mostrare…
Ed ecco di conseguenza un uso intelligente del fuori campo, incastonato nei numerosissimi movimenti lenti delle macchine da presa, negli affascinanti long takes, nel montaggio calibratissimo e dai tagli originali, nella fotografia limpida, immacolata, visto l’ampio ricorso alla neve come promotore degli sviluppi della vicenda.
Anche alla musica ci si rivolge solo in certe sequenze scelte, per alimentare ulteriormente la tensione (si ascolti l’Estate di Vivaldi trascritta per un organico comprendente la fisarmonica, strumento decisamente adatto alla descrizione di un’atmosfera tumultuosa), ma senza mai neppure sfiorarne un utilizzo piatto e uniforme: geniale a tal proposito la scelta di Reload (scritta da Sebastian Ingrosso & Co.), in una delle scene più potenti dell’intera opera.
La recitazione è palesemente di alto livello, tale per cui ogni minima variazione riscontrabile nei volti corrisponde ad un’inedita sfumatura interiore: domina la scena un manipolo di attori ai quali viene affidata una sceneggiatura che s’avvicina molto, oltretutto, al dialogare quotidiano (il che aumenta il disagio cui certe situazioni inducono).
Vale la pena ricordare il successo di critica mondiale, che nel 2014 ha fruttato a questo gioiellino la nomination al Golden Globe come miglior film straniero e il Premio della Giuria nella sezione Un certain regard al Festival di Cannes.
È bello pensare che Östlund inviti il suo pubblico, nella memorabile conclusione, ad un cammino condiviso verso nuove mete, e a prendersi nuove responsabilità, a osare per la felicità propria e di chi ci circonda.
Voto al film:
Written by Raffaele Lazzaroni
Info