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Il taccuino del giovane cinefilo presenta “Francofonia” di Aleksandr Sokurov

Creato il 08 gennaio 2016 da Alessiamocci

Aleksandr Sokurov è a pieno titolo uno dei maggiori registi russi viventi, accanto ai più anziani Nikita Michalkov (“Partitura incompiuta per pianola meccanica”, “Oblomov”, “Oci Ciornie”, “Sole ingannatore”, “12”), Andrej Končalovskij (autore, oltre che di famose pellicole americane come “A 30 secondi dalla fine” e “Tango & Cash”, di “Siberiade” e recentemente di “Le notti bianche del postino”), e al maestro d’animazione Jurij Norštejn (“L’airone e la gru”, “Il riccio nella nebbia”, “Il racconto dei racconti”, secondo alcuni critici il miglior prodotto animato della storia del cinema).

L’ultimo lungometraggio del nostro per il cinema, “Francofonia”, giunge a quattro anni di distanza dal Leone d’oro “Faust” (2011), e prende posizione dal naturale predecessore, il bellissimo “Arca russa” (2002), piano sequenza di un’ora e mezza che porta alla scoperta dei tesori dell’Ermitage attraverso un viaggio personalissimo di riflessione sullo stato dell’arte, ove il corso del tempo sembra trascendere qualsiasi precisa collocazione.

Che Sokurov abbia voluto rispondere alla dilagante passione per i documentari d’arte che da qualche tempo riempiono i palinsesti in qualità di eventi speciali? Qualunque sia l’intenzione, rimane evidente l’intimistico, sensazionale rapporto che il regista instaura nuovamente con un museo e la sua storia, spostandosi da San Pietroburgo a Parigi, fuggendo un’immediata etichettatura di genere, elevandosi al di sopra delle logiche e delle maniere tradizionali di studiare un soggetto della realtà.

Il lume di questa diversità è la chiave narrativa, individuata nelle ponderazioni fuori campo dell’autore stesso, così spontanee e articolate, a contatto alle volte con alcuni fantasmi che rompono la quarta parete, come in talune ricostruzioni finzionali distinte da una fattura estetica del tutto particolare, riflesso del format adottato nella titanica “Retrospettiva di Leningrado” (1990, un montaggio di quasi 11 ore di cinegiornali e simili della seconda metà del secolo scorso).

Un lavoro minuzioso sulla fotografia (del grande Bruno Delbonnel), costantemente soggetta a mutamenti di tinte, applicazioni di filtri, avvizzimenti, nutrite giustapposizioni di limpide trame digitali e ingialliti materiali d’archivio, parallelamente ad un complesso montaggio sonoro (dove si può apprezzare la liederistica mahleriana come l’incessante moto del pendolo, echi di musiche lontane e suoni d’ufficio), plasma l’ambiente ideale per dar vita alle performance dei padri del moderno Louvre, in primo luogo Franz Wolff-Metternich e Jacques Jaujard, responsabili alla conservazione e traslazione dell’inestimabile patrimonio in suolo tedesco durante le invasioni della seconda guerra mondiale.

Similmente al vanesio Napoleone, materializzato accanto ai suoi gloriosi bottini militari e ben riassumibile nel suo motto ricorrente e spiritoso, “c’est moi”, sono spiriti, protagonisti di un passato scarsissimamente comprovato, patinati, come già accaduto nella citata arca russa, di un’essenza che facilmente induce il pubblico alla perplessità, ad un senso di smarrimento e contemplazione, soffusa malinconia di fronte alla coscienza dello spessore acquisito dagli eventi storici e dai popoli che li hanno animati, alcuni volti dei quali rimangono impressi per millenni, mentre altri svaniscono, risucchiati nei gorghi della pugna o sublimati dal triste commercio della pace.

Non solo quindi una miriade di statue, dipinti e architetture, superfici tridimensionalizzate in modo che lo spettatore possa quasi esplorarle dall’interno: è una tournée condotta con suprema maestria, inebriante come poche, un pellegrinaggio che non pone una conclusione definita, ma anzi trae origine proprio da dove aveva sostato il vagabondante predecessore, che attraverso il commento del regista in persona fattosi viaggiatore nel tempo (“dovremo navigare per sempre e vivere per sempre”) introduce ad un rinnovato avventurarsi nei flutti della cultura, al cospetto dei quali vale la pena di presentarsi ferrati e ricettivi.

Voto al film

Written by Raffaele Lazzaroni


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