Al suo ottavo lungometraggio, il regista Matteo Garrone decide di ricorrere ad un cast internazionale per adattare alcune storie tratte dalla raccolta di fiabe “Lo cunto de li cunti” dello scrittore Giambattista Basile, attivo nell’epoca barocca.
E poteva forse uscirne un prodotto stereotipato, destinato a confondersi nel vasto, tendenzialmente monocromo panorama della fiction fantasy che così assiduamente trova spazi di diffusione negli ultimi tempi? Impossibile, visto il talento, in florida ascesa, cui è stato affidato un progetto di questa stazza.
E si è di fronte, infatti, alla dimostrazione di come anche un genere così abusato possa rivelarsi magnifico oggetto di cinema d’autore. Perché “Il racconto dei racconti” mira molto in alto, e senz’ombra di dubbio oltre la distanza che una parte di pubblico riesce a coprire con la sua viziata sensibilità.
Lungo tutto il complesso arco del film, la cui struttura a intreccio esige già di per sé uno scarto qualitativo nell’approccio dei destinatari, si ha l’impressione di assistere ad una serie di vicende catturate nella loro veste più “reale”, più autentica, imbevute come sono di un’atmosfera leggendaria, osservata dalle cineprese con taglio vagamente documentaristico, tale è il rispettoso distacco con cui si propongono i fatti e i personaggi.
Vincente, in questa scelta, l’uso di un montaggio misurato, per cui anche le sequenze più tese e visivamente truculente (o anche accese di pulsioni carnali) sono elaborate per sottrazione, spogliate di molti comunissimi orpelli che sovraccaricherebbero, in questo caso, la rappresentazione; un’analisi simile è valida per la sceneggiatura, firmata fra gli altri dal regista in persona.
Allo stesso tempo, calzano le tinte avvolgenti della fotografia (a tratti dai pittoreschi contrasti), e le ampie scenografie ospitano con saggia e mirabile discrezione i non molti personaggi che animano gli accadimenti.
Attraverso performance attoriali di rilievo, mai banalizzanti o esuberanti, si toccano molte tematiche dal respiro semplicemente eterno (ed ecco ribadita la legittimità del titolo dell’opera): l’amore, in particolare quello genitoriale commisto alla gelosia, il coraggio cui si attinge per donare quanto desiderato dalle persone care, l’amicizia, tra giovani che si tenta arrogantemente di dividere in nome delle convenzioni sociali, l’invidia della bellezza e ricchezza altrui, il sesso, inestinguibile motore della passione umana, la morte, come sacrificio e come trionfo della giustizia (anche self-made), la magia, che richiede sempre ai beneficiari un pegno nel campo degli affetti, scruta insondabilmente gli animi, ineluttabilmente abbandona i soggetti con le conseguenze più dolorose.
Ultimo ma non ultimo concorre all’equilibrio dell’impianto il corredo musicale del novello Premio Oscar Alexander Desplat, il quale riesce ad attribuire alle sue fantasie sonore un senso di mitica iterazione che rispecchia con apprezzabile precisione l’aura nella quale si sviluppa l’intero piano narrativo.
In definitiva, l’immaginario fiabesco che Garrone presenta al mondo è, nella sua “funambolica moderazione”, superbo, un affresco ricchissimo di spunti di riflessione ed espresso con sincerità, perizia e visionarietà.
Voto al film:
Written by Raffaele Lazzaroni
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