Evidentemente no, non si può sperare di rapinare un negozio di Compra Oro in “santa” pace (è proprio il caso di dirlo) e di tuffarsi in una rocambolesca fuga portando con sé bimbi d’una decina d’anni e qualche ostaggio incomodo, senza subire le onte delle malefiche presenze di Zugarramurdi, un paesello sul confine settentrionale tra Spagna e Francia noto per i clamorosi casi di stregoneria di cui s’è reso teatro nei tempi passati.
Questo è uno dei vari concetti che traspaiono dalla visione del nuovo film di Álex de la Iglesia, regista iberico dall’altalenante carriera, il quale stavolta si cimenta con entusiasmo tangibile nel genere della commedia nera tinta di fantasy, appoggiandosi al collega di vecchia data Jorge Guerricaechevarría per la sceneggiatura e ad un cast stellare in cui figura anche Carmen Maura, nota diva del Maestro Almodóvar.
Un altro concetto che si può afferrare senza difficoltà è il fatto che l’intento degli autori fosse dar vita ad un lungometraggio originale dal respiro internazionale, facendo leva su una vicenda di facile e lecita presa sul pubblico per la fantasia bizzarra, tendente al kitsch, alla comicità irriverente e all’azione: nobile causa, a dir la verità.
Tuttavia l’obiettivo non è stato pienamente raggiunto per alcune ragioni di stile.
Se per più di metà film l’eclettica regia riesce ad orchestrare con sicurezza tutte le pedine in campo, realizzando sequenze il cui minutaggio scorre impetuoso e ricco di sorprese, questa sua abilità svapora man mano che ci si avvicina all’epilogo, che per motivi non giustificabili accelera il ritmo narrativo in maniera spropositata, inanellando inediti personaggi ed eventi improbabili, snellendoli del loro già di per sé enigmatico significato, senza lasciare il tempo al pubblico di metabolizzare una vicenda sempre più irreale e apparentemente illogica.
Non aiutano, va detto, neppure i dialoghi, che dal principio alla fine risultano imbevuti, alternativamente, di trovate demenziali, felici intuizioni e impennate pacchiane, includendo pure tristi sviolinate su luoghi comuni (come possono essere le condizioni dei trans e omosessuali), senza però raggiungere in definitiva un equilibrio che soddisfi e riesca a non far storcere il naso al sentore di macchie che imbrattano inequivocabilmente un buon canovaccio.
Una questione a sé, poi: è davvero necessario, in questo “minestrone culturale”, in cui bollono numerosi elementi tratti dai costumi di massa, irridere le figure sacre?
Ci sono già tanti ingredienti contrastanti all’esasperazione, dalla difficile coesione, che ad ogni modo si è riusciti a trattare con intelligenza; perché sovraccaricare la bilancia, soddisfare a tutti i costi la sete del “farsi beffe di tutto e di tutti”?
Per dimostrare cosa significa essere lungimiranti, onestamente spregiudicati, graffianti e lucidi lettori della realtà che ci circonda? Non sono prevenute risposte univoche.
“Le streghe son tornate”, insomma, è un rampante rappresentante di una buona fetta di cinema che si configura come una lunga serie di mele luccicanti, succulente anche al solo assaggio (si veda i trailer), nel cui torsolo s’annida il verme del vizio e dello squilibrio.
Voto al film:
Written by Raffaele Lazzaroni
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