Poco più di tre
mesi fa le stragi di Parigi che hanno tenuto il mondo con il fiato sospeso in
un’escalation di terrore durata tre giorni. La paura non è passata e il
pericolo di nuovi attentati nemmeno. Già, perché l’esperienza parigina non è stato
un caso isolato, ma l’infuriare di un incendio che brucia su un campo di raggio
lungo quanto il diametro della Terra. Il fuoco di cui stiamo parlando è quello
del fondamentalismo. Non vogliamo in
questa sede sperperare parole retoriche o ingaggiare polemiche aspre, ma
limitarci a sviluppare una presa di coscienza che da uomini dei giorni nostri
ci tocca assumere. Cos’è il fondamentalismo?
Si parla il più delle volte di
fondamentalismo islamico. Ma fondamentalista non è solo chi spara o taglia la
testa. Esistono diversi fondamentalismi, da sempre in lotta tra loro, come in
uno scontro tra titani. Basta portare indietro le lancette dell’orologio per
ricordarci delle meschine campagne colonialiste e delle perfide politiche
etniche condotte dagli Europei in nome di una civiltà superiore; così come
basta leggere la cronaca più recente per ritrovare episodi di xenofobia estrema
negli ambiti più ristretti delle periferie cittadine (vedi i fatti di Tor Sapienza),
o dei banchi di scuola (vedi il fenomeno bullismo). Esistono tanti fondamentalismi,
alcuni più espliciti, altri ben camuffati dietro maniere gentili e ruffiane, ma
non meno deprecabili. In tutte le forme si manifesta la pretesa di cancellare
il diverso o, perlomeno, di uniformarlo a se, attraverso metodi sempre più
feroci. L’altro è un pericolo che fa paura per cui diventare intransigenti e
dogmatici è un modo per imporsi e semplificare la complessità del reale. Senza
lasciare spazio ad analisi e riflessioni più profonde. Perché pensare è
scomodo. Lottare, censurare, annientare è più semplice. Non si considera che le
diversità non potranno mai scomparire del tutto e che invece di fare guerra
alle religioni o ai popoli bisognerebbe fare guerra alle intolleranze che
risiedono nelle religioni e nei popoli.
Consideriamo il
caso Charlie Hebdo. Molti dicono che la sua satira impertinente e dissacratoria
sia un’altra forma di fondamentalismo (della laicità in questo caso), consumata
a colpi di matita, contro un obiettivo inviolabile quale la religione. Occorrerebbe
pensare invece che spesso la religione (o le religioni, beninteso) sono
modellate dagli uomini, esseri per natura fallibili e fragili, bisognosi di
perseguire miti e promesse di redenzione che essi stessi costruiscono e che
niente hanno a che vedere con i precetti d’amore e di pace che un Dio padre e
creatore predicherebbe. Insomma, un Dio vero molto più simile al Maometto
apparso sulla copertina di Charlie lo scorso 28 gennaio, con una lacrima sul viso
e con lo sbalorditivo messaggio: “Tout est perdonné”. Credete che un giornale
che perdona sia un giornale fondamentalista?
La marcia per la
pace a Parigi è risultata un gesto molto significativo. Più dei torrenziali e
salivari “je suis Charlie” sparsi sul Web e in tutto il mondo. Ha mostrato
materialmente che due figure “distanti” come Benjamin
Nethanyahu e Mahmud Abbas possono percorrere insieme la stessa strada e
che la morte riconduce tutte le diversità ad un unico destino.
Ci hanno insegnato
che il mondo è un grande ecosistema in cui le leggi della catena alimentare
assicurano la sopravvivenza di tutte le specie. Ed io voglio pensare che sempre
secondo leggi di natura anche gli uomini debbano cibarsi gli uni degli altri
per sopravvivere, attraverso forme non di cannibalismo, ma di confronto e
scambio reciproco. Perché la tolleranza e l’integrazione sono principi nutritivi per il genere umano. Elementi essenziali per poterne evitare l’estinzione.
Marilea!