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Mi piace fare le pizzette. E' un po' come per quelle signore che amano lavorare a maglia o usare l'uncinetto. Mi distende il nervo. Sento le notizie della giornata e la pressione comincia a salire, il nervo si ingrossa, le vene delle tempie pulsano più forte, sarebbe necessaria una seduta di Kendo, quando con un bastone in mano salivo sul tatami con il compito di dare mazzate con tutta la mia forza alla figura nera ed irriconoscibile che mi stava davanti fino a quando non avevo più la forza di alzare le braccia; il nemico, il male, la parte oscura di te stesso e poi scendere stanchissimo, sudato ma finalmente disteso e con la voglia di spaccare tutto al fine sedata. Non ce la faccio più adesso a praticare uno degli sport o delle "vie" orientali della ricerca del sé, più belle in assoluto. Così faccio le pizzette. Devi porre attenzione all'atto se vuoi ottenere la perfezione finale, come in tutte le arti giapponesi, può essere un arte, un "jitsu", o una via spirituale, un "do", che va ben al di là del semplice atto e della ricerca della sua perfezione, sia esso la composizione dei fiori o lo sferrare un pugno o l'estrarre la spada dal fodero. Lasci il pensiero fuori di te, ti concentri sull'impasto che ormai gonfio della forza interna della sua lievitazione ti attende sereno, pacioso, grasso e informe, plastico e morbido al tempo stesso.
Una lieve spruzzata di farina come una pioggia di petali di ciliegio nella tarda primavera del Fuji e poi lo distendi con cura, facendo attenzione che lo spessore rimanga uguale in ogni punto. La mano qui deve avere la prevalenza sulla mente, lasciata per un attimo in un limbo immateriale, mentre il movimento uguale e sereno allarga, distende, sente la materia informe che sotto di sé perde tridimensionalità per allargarsi in un nuovo universo a due direzioni. Quando "senti" la fase conclusa, ecco intervenire il piccolo bicchiere con i bordi umettati di acqua a fare, con la giusta pressione, i tanti minuti cerchi perfetti, tutti uguali, tutti identici e ripetuti, come le migliaia di ripetizioni di una tecnica marziale. Una lieve pressione, una piccola rotazione di un quarto di giro ed ecco il tondino creato, separato dalla spianata bianca, perfetto nella sua scansione ripetitiva come un mantra pronunciato all'infinito. Raccoglierai i ritagli reimpastandoli con cura, ponendo attenzione che la pasta sarà un poco meno morbida e sarà quindi necessario uno spessore lievemente minore, che l'istinto solo e la comunione con essa ti consiglierà. Quindi ungerai di un filo d'olio vergine, tenue ma continuo, le teglie amiche che attendono di essere ricoperte dei candidi dischetti allineati ordinatamente. Or qualcuno dirà, ma questi compiti di bassa cucina, potresti farli svolgere dagli aiuti di cui certamente disponi, addetti alle operazioni routinarie, api operose disposte ai compiti di più bassa importanza. Oh stolto!
Come il maestro di calligrafia, non fa sciogliere il bastoncino di china della pietra incavata che gli servirà da calamaio, da un allievo, ma egli stesso farà con cura questo compito apparentemente secondario, perché è nel piccolo gesto che si crede meno importante, nello svolgerlo comunque con cura e precisione che sta l'essenza del Tao. Dunque sarà la volta della passata di pomodoro che dal cucchiaio scenderà a piccole gocce sempre uguali e cadenzate su ogni pezzo, ancora oggetto informe e privo dell' anima del demiurgo. Ed ancora prenderai, dalla bella scodella di porcellana dove riposano, i minuscoli frammenti di formaggio che, tutti uguali, avrai provveduto tu stesso a sminuzzare precedentemente e li disporrai in maniera elegante ed apparentemente inutile a tre per volta su ogni disco, non uno di più od uno di meno, che ancora spolvererai con attenzione di origano. Un pizzico ad ognuno, sempre uguale, che il vicino non s'offenda. Infine, dopo un ultima passata amorevole di poche gocce di olio, per ammorbidire e profumare l'opera, depositerai il tutto nella nera bocca che attende, calda al suo massimo, di compiere l'opera miracolosa; trasformare le parti disgiunte in pizzette dorate, fragranti, profumate e desiderose di farsi mangiare. Solo così avrai raggiunto la pace interiore, il termine del cammino spirituale, del "Do". Satollo tu ed i tuoi ospiti, chiuderai leggermente le palpebre, sereno e chi se ne frega se il paese sta andando alla malora. I governanti sono lo specchio di chi se li è scelti.
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