"L'uomo, io vi avverto, è un animale cattivo": così l'ingenuo e sventurato Orgon si rivolge al pubblico quando, giunto al culmine della sua avvilita disillusione, si arrende di fronte alla meschina ipocrisia del suo amato Tartufo. A questo punto è davvero difficile decidere se sia meglio lasciarsi andare a una risata onnicomprensiva di tutta l'ilarità suscitata dalle ridicolaggini cui si è assistito, oppure commiserare con leggera amarezza il povero infelice che si è appena scavato la fossa con le proprie mani. Sì, perché l'impareggiabile genio di Molière sta proprio in questo: rendere il suo spettatore una creatura tanto ambigua quanto lo sono i personaggi creati dalla sua penna, spinti in direzioni opposte da passioni inconciliabili, ma sempre e comunque riassumibili in un coacervo di vizi perennemente radicati nell'animo umano.
E non per niente Il Tartufo ha alle spalle la storia di un travagliato rapporto con i suoi spettatori. Rappresentata per la prima volta nel 1664 con il titolo Le Tartuffe ou l'Imposteur, la commedia, infatti, fu subito bersaglio di fitte polemiche che scaturirono in una vera e propria campagna censoria, e lo stesso Luigi XIV fu costretto a intervenire per proibirne ulteriori repliche. L'approvazione alla messa in scena arrivò poi nel 1669, e Molière, per l'occasione, non si risparmiò una frecciatina dritta al cuore di quegli ipocriti dai quali provenivano le critiche, evidentemente troppo irritati nel vedere rappresentati sul palco i propri difetti con aperto dileggio.
Oggi al Teatro Carignano di Torino il regista Marco Sciaccaluga la ripropone nella nuova traduzione di Valerio Magrelli, attenuando i toni cupi e l'ostentata devozione del falso Tartufo, prediligendo la farsa come strumento ideale per prendersi gioco delle debolezze umane. "L'arte di Molière ci costringe a ridere del fatto che non basta vedere per non essere ciechi, costruendo il ridicolo proprio sullo scarto tra il pensiero e l'azione. Il problema non è quello di distinguere il bene dal male, il vero dal falso, ed è proprio questo che insieme ci fa ridere e ci spaventa". Così parla il regista, esaltando l'impresa grandiosa che ha saputo compiere il commediografo francese, cioè quella di rendere tanto comica quanto interessante la stupidità umana.
Questa nuova versione de Il Tartufo, prodotta dal Teatro Stabile di Genova, vede i due amici/nemici protagonisti interpretati in modo magistrale da un Eros Pagni (Orgon) terribilmente irritante nella sua testardaggine benpensante e da un Tullio Solenghi (Tartufo) disgustosamente viscido e subdolo, ma anche esilarante nelle sue pantomime prive dello scrupolo della decenza. La devozione che Orgon nutre per Tartufo può essere facilmente trasfigurata in un vero e proprio innamoramento, con tutte le conseguenze che ne derivano, in primis l'assoluta cecità di fronte alle manchevolezze dell'amato e l'abbaglio causato da offerte di piaceri ultraterreni alternativi alla banalità del quotidiano. Orgon sembra quasi andare a collocarsi in una dimensione di ascetismo incondizionato, immune a qualsiasi passione o emozione che non provenga dalle azioni di Tartufo, incurante del suo ruolo di capofamiglia, ma ben deciso a trasferire il proprio potere, con beni materiali annessi, sul suo nuovo maestro di vita, destinandolo persino in sposo alla figlia.
Tartufo, dal canto suo, come fine non ha che quello di soddisfare i bisogni primari, dal cibo al sesso, approfittando del suo malcapitato ospite per arrivare a impossessarsi del suo patrimonio e persino della moglie.
Le donne hanno un ruolo fondamentale nel tentativo di scuotere e risvegliare Orgon dal torpore: la vulcanica Dorine (interpretata dalla brava Barbara Moselli), che più volte sfoga la rabbia verso la situazione assurda in cui il suo padrone ha imprigionato l'intera famiglia, soprattutto per quanto riguarda il destino della piccola Mariane (Elisabetta Mazzullo), fragile e intimidita dalle decisioni del padre, e impotente nel dover rinunciare al matrimonio con il suo amato Valère (Pier Luigi Pasino); e ancora Elmire (Mariangeles Torres), moglie di Orgon, donna dal carattere forte e deciso, decisa addirittura a sacrificarsi in nome dello svelamento della verità.
Ma il sommovimento provocato dalla caparbietà femminile non impedirà la catastrofe; e solo a questo punto interviene, con un mirabile effetto, il deus ex machina: "L'happy end diventa così il grande sogno di salvezza; la dichiarazione (non importa se illusoria) che la vita sulla terra può essere più bella. Il lieto fine nell'arte è sempre un sogno di catarsi al bene. In una commedia, poi, è anche un dovere".
Un'opera piacevolissima e densa di spunti di riflessione. Prendendo il più evidente e significativo, sicuramente non possiamo non sentirci coinvolti nell'accusa, dietro a un ironico sorriso, scagliata contro ogni tipo di stimolo che solletica individui instabili, quando questi sentono il desiderio di appigliarsi a belle parole e buoni modi di fare, dimenticando il principio, mai inflazionato, che la fiducia concessa e non sperperata ha sempre la meglio sulle colossali fregature.