(Taormina, Luglio 1994)
Il taxi è un antiquato mastodontico modello di Mercedes color blu notte, la polvere del tempo incrostata ovunque. Conserva l’aspetto goffo e ingombrante di una signora obesa che, pur sforzandosi di apparire elegante, riesce unicamente a risultare patetica. La cosa buffa è che sembra sia stato costruito su misura per il proprietario, il quale, dopo averci fatto accomodare sui sedili posteriori, si lascia ricadere pesantemente al posto di guida emettendo un poderoso grugnito. Dalle viscere del macchinone fuoriesce all'improvviso un rombo catarroso che mette a tacere tutti i grilli del circondario. Sospiro. Finalmente, se dio vuole, si parte.
Il mio sguardo cade subito nel vano portaoggetti, dove fa bella mostra di sé un sacrocuoredigesù. Ne traggo subitaneo motivo di conforto. Per un attimo mi vedo questo molosso dall’aria macellaia inginocchiato all’altare, le mani giunte, gli occhi giaculanti verso l’alto, illuminato da un barlume di pia devozione. A questo punto, manca soltanto l’adesivo con il classico vai piano paparino per completare un quadretto rassicurante che dieci minuti fa non mi sarei mai figurato. In effetti, non c’è. Però un padrepio incollato al cruscotto ammonisce prudenza con un gesto di benedizione che pare una minaccia. Mi metto definitivamente l’animo in pace.
Intanto il bestione, con fare burbero da vecchio lupo di mare, illustra a Rosanna la bellezza dei luoghi. I quali, ovviamente, non sono più quelli di un tempo, quando lui era giovane e i turisti non invadevano l’isola come cavallette. Che fa, allude?, borbotto tra me. Come se mi avesse letto nel pensiero, corregge subito il tiro affermando che è comunque bello avere tanti ospiti che vengono da lontano ad ammirare questa terra. E voi da dove venite, chiede a Rosanna: da Genova? Stavolta allude, oh sì che allude. La modalità con cui si è svolta la contrattazione l’ha chiaramente indispettito. Ma non intendo lasciargliela passare: da Torino, vicino a Genova. Eh sì, molto vicino, fa lui, e si becca come da copione l’ultima battuta.
Oltre alla battuta e al prezzo esoso della corsa, il marrano ci gioca un altro tiro birbone. Giunti a Letojanni, decide di sbarazzarsi di noi all’entrata secondaria dell’albergo, posta sul retro dell’edificio, assicurandoci che resta sempre aperta. Ciò per evitare la strada a senso unico sul lungomare che avrebbe richiesto un giro più ampio e tortuoso. Cosicché, scaricati senza tante cerimonie, ci ritroviamo perplessi di fronte a un portone che, c’era da aspettarselo, pare chiuso da un secolo o forse due. Siamo allora costretti a trascinare per diverse centinaia di metri, borse e valigie che paiono imbottite di piombo fuso. Approfitto del tragitto, condotto alla cadenza di una processione ferragostana, per attaccare a salmodiare una sequenza d’irripetibili improperi. Ovviamente in piemontese stretto.