Si perde tutto, rimane solo un filo d'argento. La fotografa non deve rappresentare, ma suscitare emozioni, è solo questo che rimane.C'è stata negli anni un'evoluzione nel tuo modo di fotografare gli spettacoli?
La fotografia è un percorso, racconta il mio cammino, la mia storia, la mia evoluzione come uomo e come Professionista. Durante i miei corsi dico sempre ai partecipanti di non gettare mai nessuna foto, quello che oggi è per noi un brutto scatto, domani lo vedremo sotto un'altra luce. Oggi non sono l'uomo che ero ieri e non sono l'uomo che sarò domani. Sembra banale, ma in realtà è quello che facciamo tutti i giorni, impariamo dall'esperienza e maturiamo, almeno dovrebbe essere così... Fotografo la mia vita guardando il mondo che mi circonda.La scarsità di luce è un'ostacolo? Come la interpreti?
In realtà non è un'ostacolo, ma un alleato. Mi aiuta ad enfatizzare un espressione, un gesto, un'emozione. I continui sbalzi tra la luce e buio creano dei contrasti fantastici, quasi surreali. La luce non la interpreto perché semplicemente non c'è.Spesso sei riuscito a sfruttare le precarie condizioni di luce per raggiungere un effetto per cui gli attori sembrano in bilico tra la vita e la morte. Accanto a personaggi ben visibili ne appaiono altri dal volto fantasmagorico, sospeso tra la presenza e l'assenza...
In effetti è proprio questo che amo del connubio fotografia / teatro. Una danza incessabile tra ciò che sembra e ciò che è, un gioco di apparenze. Amo molto invertire i ruoli, trasformare il divertente in tragico e viceversa. Spingo sempre al limite questo aspetto, è come ritrovarsi all'improvviso su un precipizio e ci si guarda indietro per capire come ci si è arrivati. Accompagno l'osservatore a porsi delle domande a mettere in dubbio ciò che ha visto. E' fantastico l'effetto che suscita.