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IL TEATRO DI MOZART musica #opera #lirica

Creato il 02 novembre 2014 da Albertomax @albertomassazza

don_giovanni_scala_milo-manara-finale-di-don-giovanni-tavola-originale-in-mostra Esempio più unico che raro di compositore capace di raggiungere l’eccellenza in ogni ambito della musica colta, Wolfgang Amadeus Mozart non tralasciò di certo di dedicare il suo genio al teatro; anzi, almeno quattro delle sue opere sono ancor oggi tra le più rappresentate in assoluto, tanto da mettere il grande salisburghese nelle condizioni di poter contendere a Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini la palma di operista più eseguito al mondo. L’interesse di Mozart per il teatro si manifestò, manco a dirlo, precoce e prodigioso: ad appena 11 anni, il fanciullo divino compose L’obbligo del Primo Comandamento per l’Arcivescovado di Salisburgo, un lavoro che già nella definizione (singspiel sacro) mostrava i segni di un approccio non convenzionale al teatro. Ad appena due mesi dall’esecuzione di questa prima opera, si vide rappresentato un intermezzo in tre atti, vera e propria Opera in miniatura, Apollo e Hyacinthus, commissionata dal ginnasio di Salisburgo. Negli anni successivi, Mozart compose il suo primo singspiel (Bastien und Bastienne, 1768), inaugurando quel percorso che lo avrebbe portato a dare piena dignità operistica alla tradizione popolare tedesca, per poi cimentarsi per la prima volta con l’Opera italiana (La finta semplice, 1769), dramma giocoso in tre atti attinto da Goldoni.

Gli anni dei tre viaggi in Italia segnarono una tappa fondamentale nella formazione della coscienza teatrale mozartiana. Le tre commissioni del maggiore teatro milanese dell’epoca, il Teatro Regio Ducale (Mitridate, re di Ponto, 1770; Ascanio in Alba, 1771; Lucio Silla 1772), se non gli consentirono un’affermazione definitiva, furono comunque occasione di cimentarsi con  i meccanismi e le dinamiche di un vero teatro. A dare consistenza a questi lavori, il peso letterario dei libretti che vedevano, tra le fonti e tra gli autori diretti, giganti del teatro e della poesia come Racine, Parini e Metastasio, quest’ultimo punto di riferimento principale per la struttura melodrammatica mozartiana. Non meno importante dovette essere il suo soggiorno napoletano, in una città brulicante di compositori e di vita teatrale. Intanto, ancor prima del debutto milanese del Lucio Silla, Mozart aveva composto l’atto unico Il sogno di Scipione da Metastasio, commissionato per il cinquantenario della consacrazione sacerdotale del Vescovo-Conte di Salisburgo, la cui morte sopraggiunta ne fece annullare la rappresentazione. Le meditazioni che seguirono questo periodo di esperienze sfociarono nella stesura delle musiche di scena per il dramma Thamos, Re d’Egitto e di due opere: il dramma giocoso in tre atti La finta giardiniera, commissionata dal Principe elettore bavarese e rappresentata con successo a Monaco nel gennaio del 1775, e il melodramma matastasiano Il Re pastore, commissionato dall’arcivescovo salisburghese in occasione della visita dell’arciduca asburgico, avvenuta nell’aprile di quello stesso anno.

Un ulteriore passo verso la nobilitazione del Singspiel (Zaide, 1779-80) venne accantonato per far fronte a importanti commissioni che consacrarono definitivamente Mozart come operista. Il primo di questi lavori fu Idomeneo, Re di Creta, su libretto di Giambattista Varesco, rappresentato con successo al Teatro di corte di Monaco per il carnevale del 1781. Nell’Idomeneo, Mozart si affrancò dalle convenzioni metastasiane, mediandole con influssi provenienti dalla  riforma gluckiana e approdando a una concezione dell’Opera seria italiana che lasciava presagire gli sviluppi ottocenteschi. L’anno seguente, con Il ratto dal serraglio, andato in scena al Burgtheater di Vienna, portò a compimento la sua personale riforma del singspiel. Seguirono altri due tentativi incompiuti di opera buffa all’italiana (L’oca del Cairo e  Lo sposo deluso, entrambe del 1784, la seconda probabilmente su libretto di Da Ponte) e un nuovo singspiel (L’impresario teatrale, 1786), rappresentato alla residenza estiva imperiale di Schonbrunn. Ormai erano giunti i tempi dei capolavori operistici della maturità, ad iniziare in quello stesso 1786  da Le nozze di Figaro, prima rappresentazione al Burgertheater viennese, primo frutto della collaborazione con Lorenzo da Ponte, uno dei più felici incontri tra musica e letteratura dell’intera storia dell’Opera.

La trilogia dapontiana che, com’è noto, comprende gli altri due capolavori Don Giovanni (1787, Teatro degli Stati Generali di Praga) e Così fan tutte (1790, Burgertheater), rappresenta l’apoteosi del teatro mozartiano, raggiunta nell’ineguagliabile sintesi tra stilemi comici, elementi melodrammatici, indagine psicologica sui personaggi e respiro filosofico della narrazione. A Mozart non rimaneva che raggiungere la stessa perfezione formale della sua personale rilettura della tradizione comica italiana nel singspiel e nell’opera seria. Il sodalizio con l’impresario-musicista-attore-cantante-librettista, nonché frammassone, Emanuel Schikaneder fruttò Il flauto magico, ispirato agli ideali massonici e accolto entusiasticamente al Theater auf der Wieden di Vienna il 30 settembre 1791,  definitiva consacrazione del singspiel come genere operistico di piena dignità. Esito forse non del tutto compiuto, ma comunque carico di elementi innovativi, si ebbe con La clemenza di Tito, estremo cimento nel campo dell’opera seria, su libretto di  Mazzolà attinto da un melodramma di Metastasio, commissionata per l’incoronazione di Leopoldo II a Re di Boemia e andata in scena al Teatro degli Stati Generali di Praga il 6 settembre del 1791.



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