Magazine Cultura
«Qualcuno - non ricordo chi, né le parole precise - ha detto che Eduardo ha inventato nel teatro il primo piano: nel senso che quel suo volto che potremmo dire essenziale - scavato, sofferente, saggio - e quel suo essenziale gestire rendevano al teatro, eccezionalmente, quella peculiarità che è del cinema. Pur includendo lo spazio scenico, al momento in cui Eduardo entrava in scena lo sguardo dello spettatore acquistava la capacità, come si dice nel gergo cinematografico e televisivo, di "zummare" sul suo volto, sulle sue mani, sul suo passo. E ciò credo accadesse per un fenomeno di "denaturalizzazione" del teatro, del luogo teatrale, che Eduardo riusciva a operare: e cioè di sottrarlo alla convenzione e di restituirlo alla realtà.Viene di pensare a quel racconto di Borges, in cui Averroé, traducendo Aristotele, si ferma alle ignote parole "tragedia" e "commedia", non accorgendosi che bastava guardare fuori dal balcone perché la vita gliene offrisse il significato. È un racconto che il teatro di Pirandello e il teatro di Eduardo irresistibilmente richiamano alla memoria: come di un passare dalla vita al teatro senza scarti, senza fratture, inventando nella vita e nel teatro, facendo del teatro una conversazione di vita».Leonardo Sciascia, L'Espresso, 5 novembre 1984