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Colfiorito, 34a. Mostra Mercato e Sagra della Patata Rossa.
Sazi di patate cucinati in tutti modi, girando per l'area della festa, avvolta dell'aria fresca dell'altopiano, entrando nel padiglione che per l'occasione ospita mostre e convegni, ma che rappresenta uno dei pochi manufatti rimasti del campo con le abitazioni per le famiglie che avevano dovuto lasciare le loro abitazioni, gravemente danneggiate dal terremoto del settembre 1997, veniamo catturati dal una macchina collocata proprio al centro del salone.
E' un vecchio telaio di legno.
Una signora, maglietta bianca, occhiali sottili e un brillante sorriso, accoglie i curiosi che osservano il suo lavoro.
Sta tessendo un complemento per la tavola, forse una tovaglietta.
Il telaio su cui lavora è una straordinaria, antica macchina di legno, di tavole e travi incastrate tra loro. Senza chiodi per tenerlo insieme, senza cinghie per farlo funzionare.
Una larga fascia di ordito, di filo di cotone bianco grezzo, che si infila una matassa di fili tengono sospese un fascio di piccole canne. Leggeri pesi, tanto che basta a tenerli tesi a sufficienza. L'ordito attraversa i quattro licci presenti su questo telaio, e poi il pettine.
Nena, esegue le sue magie, seduta, china sulla tela, mentre la fa avanzare.
Nella navicella che fa ruotare sulla sua mano destra, c'è un piccolo rocchetto di filo dello stesso colore dell'ordito, bianco grezzo.
Con i piedi sui pedali, muove, di volta in volta, un liccio, andando a separare i fili dell'ordito.
Alcuni li abbassa, altri li alza, e fra di loro, veloce, come un consumato prestigiatore, lancia la navicella.
Al momento stesso, mentre la mano sinistra prende al volo quella piccola barchetta di legno dalla quale si allunga il filo che traccerà la trama del tessuto, la mano destra tiene al giusto punto il filo, disegnando un piccolissimo occhiello al bordo del tessuto.
Da una leggera tensione al filo, e poi lo batte con il pettine.
Tutto questo è durato un attimo, un tempo semplice, naturale, tra una cosa da fare e una cosa fatta.
E allora lo ripete, la navicella, dalla mano sinistra torna a quella destra, un colpo del pettine, e via ancora, un altro gioco di prestigio.
Lei parla, racconta di abitare sull'altopiano, ma dall'altra parte, nelle Marche, a Serravalle in Chienti. Appena dopo quella linea tracciata sulle mappe, che sui prati e le pietre dell'altopiano, ti fa essere o umbro o marchigiano.
Ma Nena non è qui sull'altopiano per nascita, ma per scelta di vita.
Il suo accento la tradisce quasi subito, anche qui, terre di confini, di travasi colturali e passaggi storici, dove i nativi non parlano come gli umbri, ma nemmeno come i marchigiani del fermano.
Ci dice che viveva a Roma. Ma più che di se stessa, ci parla del telaio, trovato e restaurato con pezzi originali, scovati nelle capanne di questo frammento di Appennino posto all'ombra dei monti della Maga Sibilla.
Restaurato il telaio, del quale, ad oggi ci saranno non più di altri tre-quattro esemplari, è andata a scuola di telaio, ad apprendere il magico muovere delle mani e dei piedi, degli occhi e delle dita.
La mia nonna, quando da piccolo mi voleva insegnare a far l'uncinetto e ad usare i ferri per la maglia, mi diceva che lei ha imparato prima ad usare il telaio e poi a leggere e scrivere.
Per far funzionare il telaio si deve far di conto, rispettare una lunga e complicata procedura per preparare l'ordito, montarlo sul telaio, bilanciarlo, infilarlo nei licci, e poi, la cosa più complicata, la geometria della trama.
Senza saperlo, la mia nonna, imparò prima le equazioni, che svolgeva sui fili dell'ordito come su un pallottoliere, prima ancora che il fratello le insegnasse a scrivere parole.
Così Nena, questa maga che senza trucco e senza inganno, tesse trame colorate allo stesso modo delle tessitrici del rinascimento, che preparavano tovaglie, ma anche lenzuola e coperte che arredavano le case dei nobili e dei regnanti.
—La tovaglia dell'ultima cena di Leonardo ha queste trame—, ci racconta il marito di Nena, osservandola, assieme a noi, lavorare al telaio.
Giro intorno alla macchina, faccio domande, parlo, fotografo.
Mi rendo conto di essere rimasto impigliato tra i fili, imprigionato nelle emozioni che restano infilate nella trama, ad ogni colpo del pettine.
Così mi porto via un paio di tessuti, intrisi delle emozioni di questa scoperta.
Un piccolo centro per il mio cassettone ed un centro tavola.
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