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Il tempo del tempo

Da Alberto Murru @Albob_Mu

4332651Immobile, a un metro e cinquanta da terra, con le scarpe di tela bianca ben salde sul muro in blocchi di cemento. Tela bianca, marroni per tre quarti, solo il tallone riportava il colore originale; la bicromia mi sarebbe costata qualche colpo di battipanni nel sedere. Ero certo, quasi certo, che buttandomi giù da quel muro le ginocchia mi sarebbero come esplose, che il fracasso della terra avrebbe risuonato nel mio cervello, avrei fatto la fine di un diapason sbattuto al tavolo. Gli altri davanti a me sfrecciavano nei campi appena ingialliti trebbiandone una parte prima del tempo, qualcuno gli avrebbe certamente maledetti, le loro traiettorie si incrociavano creando un groviglio incomprensibile.

‘’Corri cazzo, corri!’’

Arrivare per ultimo non mi dispiaceva affatto, sorridevo. Mi sarei calato poco alla volta strisciando la pancia sul muretto, centimetro dopo centimetro sarei arrivato alla terra ferma, con le braccia ancora irrigidite per lo sforzo. ‘Tonti’, prima o poi avrebbero fatto la fine del diapason, la testa che vibra, le caviglie chissà dove e le ginocchia piegate al contrario.

Dovevo solo andare dritto verso il sole.

Con le mani larghe accarezzavo le spighe ancora fresche, gli steli mi frusciavano leggeri sulle ginocchia, si piegavano solo per un istante ritornando alte come prima. ‘Andate pure voi, andate’ pensavo tra me e me, godendomi il vapore della terra ancora fresca.

Con lo scorrere dei passi la luce si faceva sempre più bassa, l’orizzonte iniziava a sembrare di bronzo, casa mia lontana e piccola.

Superata la paura, le spighe, gli impensabili animali che si sarebbero potuti nascondere sotto la distesa di grano, la pelle iniziava a prendere il colore delle ombre. Dei ventiquattro lampioni disposti in fila indiana sulla via ne funzionano a malapena sei, sette la domenica; nel buio ancora luminoso iniziavano a brillare gli occhi dei felini che infestavano i confini di casa, io ero quasi arrivato.

Forse era fine Agosto qualche mese dopo quella sera, forse ero cresciuto di un centimetro scarso, forse avevo deciso di armarmi di coraggio. Le mie scarpe erano allineate una di fianco all’altra, meno macchiate del solito, forse più strette di quell’altra sera là. Mi ero deciso a saltare.

‘Mi lanciai in avanti pensando di trovare sotto i piedi il mare, il mare chiaro dei fondali bassi e sicuri. Mi lanciai in avanti cercando un morbidissimo tappeto di foglie ingiallite, vecchie, sapienti..’

‘Feci la fine del diapason’


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