“Ci sono alcuni che fanno gran caso di quello che importa ben poco, e poco caso di quel che vale molto” - Baltasar Gracián – .
E’ forse questo in ultima analisi il senso dell’articolo pubblicato un paio di giorni fa su paidContent che sottolinea il valore di strumenti di analisi per gli editori, ma solo se si utilizzano le metriche giuste. Il punto centrale delle argomentazioni di Thony Haile, di Chartbeat, è il pericolo di concentrarsi sulle pagine visualizzate, in quanto questo non necessariamente aiuta a costruire il tipo di pubblico che gli editori e gli inserzionisti necessitano, anzi.
Come scrivevo a giugno, che le pagine viste siano morte è una tesi che circola sempre più insistentemente. Dopo Paps Shaikh, General Manager Europa di Say Media, in una interessante disamina su come le pagine viste, il parametro attualmente più utilizzato come metrica per la vendita pubblicitaria online, non siano un indicatore di qualità, non siano indice da tenere in considerazione nè per gli editori nè per gli investitori pubblicitari, per le aziende, è ora Sam Slaughter, Vice Presidente di Contently ad affermarlo.
Nell’articolo pubblicato allora su «Digiday» spiega, o forse per meglio dire ricorda, che:
Inseguire le pagine viste è quasi universale nel mondo dei media digitali, e porta ad una esperienza utente quasi universalmente schifosa. E alla fine della giornata alienare le persone che vuole raggiungere non è certo l’uso più efficace di investire dollari di pubblicità per una marca. Solo perché qualcuno ha visto un annuncio non vuol dire che è piaciuto, e sicuramente non significa che gli sia piaciuto il marchio che ha pagato per questo.
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I brand si stanno rendendo conto di questo, e stanno spostando i loro investimenti pubblicitari lontano da banner pubblicitari e verso i contenuti originali di qualità. Gli editori che hanno costruito il loro business e le strategie editoriali intorno banner e pagine visualizzate a buon mercato sono costrette rivedere questo approccio o corrono il forte rischio di essere lasciati indietro.
Ieri Alessandro Gazoia, noto in rete come @Jumpinshark, ha pubblicato sul sito degli amici di Dataninja il grafico dell’andamento dei giornali nativi digitali, delle testate all digital italiane, da gennaio a luglio di quest’anno [ultimo dato disponibile].
Fatte salve tutte le opportune avvertenze sul valore dei dati Audiweb, che giustamente l’autore dell’articolo ricorda, emergono delle cose davvero interessanti. Se infatti a livello di utenti unici e pagine viste primeggiano, tra le testate prese in considerazione, «FanPage» e «Citynews», se si osserva il tempo di permanenza, il tempo speso sul sito, la situazione cambia notevolmente con «Dagospia» a capeggiare decisamente sugli altri con un tempo che si aggira tra i 5 ed i 6 minuti; il doppio, o più rispetto alle altre testate.
Il tempo speso sul sito del giornale è, a mio avviso ma anche di molti altri, un indicatore importante del livello di coinvolgimento effettivo del lettore. Indicatore che, per essere speculativo viste le difficoltà complessive di monetizzazione, che può essere speso per aumentare il valore di vendita per CPM.
Ma dalla pubblicazione dell’articolo ne è nata un’interessante discussione su Facebook con, in particolare, l’amico Carlo Felice Dalla Pasqua a sostenere che “Ci vorrebbe un indicatore [non so però quale e come crearlo] sulla reale attività dell’utente, al di là del tempo di permanenza”.
Se resto convinto che il tempo sia un’indicatore assolutamente rilevante, non mancano altri elementi che possono aiutare a comprendere il tipo di pubblico ed il livello di interesse, di coinvolgimento dello stesso.
Dovendo sceglierne alcuni, tra i tanti disponibili, suggerirei di vedere il numero di condivisioni sui “social”, parametro, credo, di assoluto interesse per misurare l’interesse generato da uno specifico articolo.
Anche il numero dei commenti ad un articolo può essere un altro elemento di comprensione del coinvolgimento del lettore su quel determinato tema; non a caso di recente il «The New York Times» è intervenuto proprio su questo aspetto per, come scrive Mattew Ingram al riguardo, rendere il lettore parte della storia, della notizia.
Anche il “bounce rate”, il tasso di rimbalzo, ovvero il numero di lettori che abbandonano immediatamente il sito una volta aperto l’articolo, la pagina in questione, è ovviamente un parametro primario.
Infine, sotto il profilo dei ricavi, vanno misurati i click sugli annunci. Indice dell’interesse rispetto alle proposte pubblicitarie e parametro di assoluta rilevanza per gli investitori pubblicitari, per le imprese.
Secondo quanto pubblicato da Econsultancy nel “Content Marketing Survey Report” si tratta di parametri che attualmente sono prevalentemente trascurati continuando a dare rilevanza alle pagine viste ed agli utenti unici. Credo sia arrivato davvero il momento di cambiare approccio. E’ il tempo delle metriche, che abbiano un senso.