Il tempo di morire.

Creato il 19 aprile 2012 da Vilipendio
“Chessaicheoresono?”, mi fa a una certa uno col pisello di fuori.
Una cosa anche inquietante, lixlì non posso fare a meno di pensare, visto che fino a qualche tempo fa non avrei mai pensato di frequentare degli spogliatoij, tradendo così il mio ideale di allenamento solingo e ramingo in questa valle di lacrime.
Ma poi mi è giocoforza distrarmi da questo pensiero.
A uno che, per combattere gli effetti della mancanza di puntualità, porta avanti tutti gli orologi di casa e da polso di una quantità compresa fra ¼ - ¾ d'h, l'algoritmo di traduzione del quadrante non è facile.
Su questo qui
, un Casio G-Shock nero che indosso mentre col borsone a tracolla mi accingo a ndarmene alla casa, dai cristalli liquidi di solito mi sgorga un posticipo di 15 min. Li sottraggo pertanto, e le 22:28 diventano dunque 22:13. Mi rendo conto della latenza che ha la mia risposta nascostamente laboriosa. Dalla vergogna mi accelero quindi i processi in background, e mi accingo alla risposta.
C'è ancora un impedimento. La rapidità che desidero mi fa esitare. Che faccio, rispondo Dieciettredici o Diecieunquarto?
È ancora fresco il ricordo di quando in quinta, coll'orologio nuovo della prima comunione, per non aver arrotondato all'errore convenzionale del Quartodora e aver risposto al minuto, sono stato dileggiato dai miei compagni come un precisino. 'Ma che volete', pensavo imbronciato, 'se 1 cià le lancette allora arrotonda, ma se visualizzi il tempo in numeri la cosa più semplice è riferire la lettura, da soggetti sarebbe piuttosto arrotondare'.
Questo brutto ricordo, io non dimentico mai i ricordi belli e brutti, mi fa perdere istanti preziosi. Dopo aver svolto tutto il calcolo in real time, sarebbe stato per questa dolorosa epifania che sarei passato per un rimbambito che ci mette una cifra pure a leggere l'ora. Alla fine, visto che oramai il ritardo è tratto, prevalgono i vecchi traumi. Non sono sicuro che gli anni passati siano bastati per sdoganare la mia teoria cronometrica infantile, e decido per l'approssimazione. “Le Diecieunquarto”, rispondo vigliacco dopo qualche secondo.
Eppure, la quinta elementare è stata 31 anni fa. In 31 anni ne cambiano, di cose.

Da adolescente m'ero sentito un sacco smart, quando s'è swicciato dalla stretta di mano orizzontale a quella obliqua. Uno al passo coi tempi.
Ora, certi miei alunnetti impertinenti si scambiano il segno della pace dandosi colle dita aperte di quegli schiaffetti preliminari, per poi battersi le nocche dei pugnetti chiusi, come pretendono da te quei necri che smerciano pedalini per strada per favorire la contrattazione coll'empatia (unica via), e se ci caschi in effetti un rifiuto ti imbarazza di più. Per noi Stivaliani che senso cianno, pensi tra te & te, questi saluti hippop, mutuati da chissà quale cultura restreettiva e globalizzante che non cià mai riguardato fino ad ora e che si farebbe belle beffe di noi se ci beccasse a scimmiottarla, come quelle che d'altronde ci faremmo noi di un norvejese che scioglie nell'acido i familiari di un pentito di mafia mentre canticchia Funicolì funicolà. Tipologia di considerazioni che mi rende classificabile pertanto quale Vecchiodimmerda.

Ce n'è uno in particolare, di alunnetto, che è molto bravo ma disordinato nel suo alunnettismo, molto acuto nelle sue intuizioni e pure puntuale a lezione, però spesso si addormenta in classe, gli ho messo Nove ma mi sono e gli ho ripromesso che a fine anno sarò molto più intransigente, e insomma voglio dire ma che ti frega adesso della mia metrica di valutazione, stavamo parlando di saluti & anacronismi e come al solito tu m'interrompi pretendendo preamboli che poi ti distraggono, sei un lettore disordinato e in quanto tale io ti metto pure Nove, ma poi a fine anno ti vengo sotto.
Questo bravo alunnetto che tanto mi sta a cuore, tutto contento del suo Nove fresco
fresco, dopo il suo ottimo esame ha preteso per la gioja di salutarmi imponendomi quel rituale di schiaffetti e pugnetti conseguenti, come a dire Sei uno di noi. Io, preso di sorpresa, non ho avuto il tempo di pormi le mie obiezioni morali d'inflessibile barbogio coerente, e opporre la resistenza conseguente. Ma nel frangente mi sono scoperto plausibile – voglio dire, porto o non porto i pantaloni che a volte sotto fanno vedere le mutande - , e adesso ogni volta che devo salutarmi con qualche jovine ho questo aggiuntivo bivio etico. Oh forsennato jovine; come salutarti? nel modo convenzionale, o mi joco questo fresca procedura acquisita e mi commiato da te a suon di schiaffetti & pugnetti?
E nel frattempo gli anni passano, e io mi spendo le risorse di sistema mica a pensare che intanto le amiche  coetanee si sposano e procreano e io no perché tanto mica ciò l'orologio biologico io, e se pure ce l'avessi mi lascerei distrarre dalle sue modalità di lettura analogica o digitale e dalle Teorie dell'Errore conseguenti. Ma piuttosto, sto qui a riflettere con te sulla tipologia di saluti che fra altri trentun anni renderà obsoleti me e quelle mie amiche - prudenti ma non abbastanza. Dovremo fare cosa? rotearci i polsi come spadaccini e poi intrecciarci solo le dita dispari? mimare a pollici incrociati chissà quale ombra cinese? o magari, nell'ennesimo conato vintage, afferrarci per i mignoli e dondolandoli riesumare il vecchio detto Mannaggialdiavolettochecciaffattolitigà?
E avrò ancora un bravo alunnetto caritatevole che nel suo disordine me le spiega, queste procedure? che m'introduce ancora una volta ai misteri dell'ennesima joventù che io non avrò capito? oppure dovrò rassegnarmi al mio stesso decorso, incapace di assecondare un'altra corrente?
Io ora mi metto a fare un'altra canzone. È sera e ho saltato gli allenamenti, avevo troppo sonno, da tutto l'anno vado a letto tardi e mi alzo presto, e questo temo mi stia invecchiando oltre le mie sembianze jovanili, e i miei propositi di riposo sono vanificati dall'esigenza di spurgarmi le riflessioni e poi di fare una canzone che parla del fatto che ci sono troppe canzoni, e poi dovrei rispondere a troppe mail e a troppi messaggi che mi aspettano da troppo tempo.

Però mi chiedo. Non sarà questo, che alla fine rende tollerabile l'ora della ns. morte? il rendersi conto, come cantavano nelL'uomo del secolo i Baustelle quando ancora non Misticheggiavano, che in fin dei conti ti sei stufato?

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