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Il tempo futuro tempo ambivalente

Da Bruno Corino @CorinoBruno

Umberto Boccioni
Il tempo fisico è un tempo uniforme, oggettivo, esterno e indipendente dal soggetto umano. Il tempo vissuto è un tempo soggettivo, essenzialmente qualitativo, denso di significato. Così scriveva Henri Bergson in Saggio sui dati immediati della coscienza (1889) e nella Durata e simultaneità (1922). Questa diversa configurazione si riferisce al tempo presente o quello trascorso, ma nulla dice rispetto a quello futuro, perché il futuro riguarda l’essere o non-essere, il possibile o il probabile, il forse sì o il forse no; insomma, il tempo futuro è per sua natura un tempo ambivalente, civettuolo, potremmo scrivere, perché è un tempo sospeso tra l’essere e il non essere, tra ciò che potrà accadere come non accadere; tra ciò che auspichiamo o non auspichiamo; tra ciò che ci auguriamo o non ci auguriamo. Ecco perché l’essere umano, animale ambivalente per natura, vive sempre nell’attesa. Ma l’attesa non presenta sempre la identica configurazione. Dipende da come un agente sociale si predispone nei confronti di un esito. Questa predisposizione non è sempre uguale: il tempo della durata della risposta attesa può essere immediato; calcolato o misurata; o può essere prolungato. A cambiare, dunque, è la modalità che si ha nei confronti del futuro.

Nell’aspettativa, l’intervallo di tempo dell’esito deve essere il più breve possibile, ogni suo ritardo provoca uno stato di tensione, in quanto viene percepito come un segnale di resistenza. Non a caso nell'aspettativa si tende ad eliminare ogni forma di ambivalenza. Nell’aspettativa, ciò che si vuole vedere confermata è proprio la regola, e ogni ritardo di questa conferma provoca uno stato di tensione. Nell’aspettativa s’aspetta una sola risposta e si esclude ogni altra. L’esito prefigurato deve essere così e non altrimenti. Ogni sconferma dell’aspettativa, cioè ogni esito deviante rispetto a ciò che ci si aspetta, viene percepito come un segnale di instabilità. Quando la risposta prefigura qualsiasi esito, escludendo propria quella che ci si aspetta, allora possiamo parlare di attesa. L'attesa è dunque ambivalente per natura. Ciò che diventa importante in questa condizione è che venga esclusa quell’unica risposta che ignori la propria attesa, mentre qualsiasi altra risposta viene percepita come una conferma della propria attesa. Si comprende che l’attesa è il reciproco dell’aspettativa: mentre l’aspettativa “prevede” una sola risposta (il rispetto del limite imposta dalla regola) ed esclude ogni altra, l’attesa “prevede” qualsiasi risposta, ma ne esclude soltanto una. Mentre l’aspettativa prevede una risposta immediata, l’attesa prevede una risposta differita (nei limiti dell’interazione). Nell’attesa dell’esito, invece, la durata più si prolunga più diventa un segnale positivo, perciò se i tempi dell’attesa dell’esito, la sua durata, e ogni esito positivo segnala il superamento minimo della resistenza altrui, e ciò accresce lo stato di eccitazione.

È tra questi due poli che s’affina la capacità predittiva dell’essere, ponendosi come una combinazione tra l’attesa e l’aspettativa, tra tensione ed eccitazione: tensione causata dalla resistenza altrui, ed eccitazione dovuta al momento in cui tale resistenza è superata. Nella previsione, più l’esito ritarda più sale la tensione, allo stesso tempo però più l’esito conferma le nostre previsioni più sale l’eccitazione. Quindi si prova tensione quando la nostra attenzione è tutta concentrata sulla situazione che stiamo vivendo, invece si prova eccitazione quando tutta l’attenzione è concentrata sul proprio Sé. Infatti, nella condizione predittiva possiamo prevedere che la risposta sia una, ma non possiamo escludere che possa essere diversa da quella che ci siamo prefigurato. Inoltre, possiamo tra una risposta immediata e una differita calcolare i tempi della risposta. Abbiamo ciò che chiamiamo la suspence. Nella previsione, i tempi sono calcolati sulla base dell’esito previsto.


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