Il Tempo: Istruzioni per l’Uso

Da Dietrolequinte @DlqMagazine

Il Corridoio dell’Orologio dell’ex Monastero dei Benedettini di Catania si tinge di bianco e nero, ospitando gli scatti de Il tempo della vita, la mostra di Angelo Anzalone che potrà essere visitata fino al 20 di dicembre. Domanda: ma perché dare questo titolo all’esposizione? La vita in sé non racchiude già l’idea del tempo, essendo essa stessa il diretto e più ancestrale modo che l’uomo ha per segnarne lo scorrere? Dove cercare risposte? Ovunque, sembra suggerire il fotografo. Anche le strade di un paese e di una città sono ugualmente cariche di inquadrature per chi è in grado di cogliere ciò che appare oltre l’immanenza, oltre la carta fotografica, l’obiettivo e il soggetto. Le “trazzere”, troppo strette per le macchine e poco trafficate per avere nomi altisonanti di eroi e umanisti, nascondono bambini che ancora giocano con un pallone e anziane sedute davanti l’ingresso della propria abitazione, tutt’uno con l’asfalto. Sembrano immagini di un’altra epoca, perché oggi videogame e televisioni hanno imbambolato gli esseri viventi davanti alla loro esistenza.

Come se tutta una comunità fosse colpita da un virus e che il minimo contatto ne causi l’estinzione prematura, mediamo la comunicazione attraverso un mezzo, un medium, che neutrale non è, e che costringe l’uomo a vivere senza spazio né tempo. Chi va più fuori a giocare! Che fatalismo! No, le fotografie della mostra non fanno parte di un archivio riesumato, ma respirano e sudano. Respirano, perché il tempo non si è fermato, la sua scansione continua incessante tra ritmi alti e bassi, senza fine. E tollera momenti semplici, ma indispensabili, di amore senile e freschezza adolescente; di giochi d’azzardo smaliziati e luoghi di gioco reinventati per la nuova fisionomia dell’ambiente. Angelo Anzalone ama condividere e comunicare con tutti questi momenti: non resta nudo spettatore ma ne diventa egli stesso stimolatore e interprete. Vive il paese, il suo profondo immaginario e il sottobosco simbolico, traendone forza per rappresentare l’unicità nel molteplice, l’attimo nella vita.

Non credo infatti che le immagini chiudano in una cornice quell’evento, e che quindi sia definibile come immobile. Ritengo invece ogni fotografia come un frame di una sequenza continua di cui conosciamo alla perfezione il prima e il dopo, costruendo un’azione, svincolata nel tempo e legata alla vita. Vita che fugge e che non si mostra solo nella messa a fuoco, ma che corre via lungo viali alberati, strade di campagna e infinito, scivola tra gli anni che scorrono, scandendo un’esistenza dagli albori della giovinezza fino al dolce torpore del tramonto (non a caso molte delle fotografie hanno come elemento in primo piano figure di bambini e anziani, quasi a colorare il bianco e nero con un tocco intensamente nostalgico). Ma non ci sono verità in questi scatti; ma un nugolo di negativi dentro una camera oscura di riflessioni che ogni singolo spettatore deve sviluppare da sé; Anzalone continua a porre una serie infinita di domande a cui né io, né probabilmente lui, vogliamo dare una risposta.


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