Iacopo da Varazze è invece figlio di un secolo che punta a riscoprire l'uomo e le sue qualità intellettuali come elemento positivo, in grado di giungere alla conoscenza di Dio attraverso gli strumenti del pensiero. Non va certo dimenticato che l'opera ha un taglio didattico e teologico, e mira in primis ad una sacralizzazione del tempo: inserendo le vite terrene dei santi (santorale) nel contesto del ciclico calendario liturgico (temporale), l'autore realizza un intreccio di significati simbolici ed esemplificazioni agiografiche che puntano a realizzare un percorso escatologico. Così facendo, la Legenda Aurea si appropria del concetto di tempo e lo sacralizza, inscrivendo il percorso dell'individuo e dell'intera umanità nel contesto di un sentiero ineluttabile della storia della salvezza, che attraversa le fasi dello smarrimento conseguente alla caduta, della peregrinazione, della riconciliazione e del rinnovamento.
Nel realizzare questo disegno, sono molti gli elementi di sorprendente modernità che si possono ritrovare in questo libro, che si può definire pre-rinascimentale e addirittura proto-umanistico. L'epoca è pienamente medioevale: siamo in un cosmo parlante, in cui ogni essere ed ogni cosa rimanda a Dio attraverso un rete intricata di significati reconditi e simboli. Eppure, allo stesso tempo, dalle pagine del più famoso testo dell'epoca emergono una dopo l'altra idee nuove; la contemplazione e la speculazione non abitano più piani paralleli e incompatibili, così come l'onere del lavoro manuale e la necessità dell'opera tecnica non sono più considerati una conseguenza del peccato originale, ma un elemento positivo della vita, con il quale valorizzare il tempo terreno e nobilitare l'uomo. Fra gli elementi "moderni", vi sono anche accenni sorprendenti al ruolo sociale e alla dignità della donna e dei bambini.
Fra gli aspetti più propriamente scientifici, colpisce la continua preoccupazione alla veridicità dei fatti narrati e all'accuratezza delle fonti: fino ad allora - e ben oltre il "cut off" del 1492 - l'enciclopedismo medioevale non si preoccupava, nel suo sforzo di catalogazione sistematica del sapere, di distinguere fra realtà e simbolo, perché ad ogni possibile idea concepibile, in quanto dotata significato, doveva necessariamente corrispondere una rappresentazione e una relazione con la realtà del divino. Iacopo non rinnega certo il proprio tempo, così come è riduttivo dire che il rinascimento rinnega questa ricerca di sacralità e di eternità dietro le cose e le intuizioni: cambiano però i metodi, le idee, si compie più di un passo nella maturazione del pensiero.Di quello che ho scritto, potete farvi un'idea assai migliore leggendovi "Il tempo sacro dell'uomo" (potete farlo anche senza la scusa di esservi rotti una mano). Volevo però darvi un assaggio concreto di quelle idee "proto-matematiche" che ho promesso in apertura del post. Nel continuo tentativo di sacralizzazione del tempo che Le Goff mette in evidenza nel suo saggio, c'è un riferimento che crea un bizzarro anello di congiunzione fra il Jacopo da Varazze e la visione einsteiniana dello spazio tempo. Si parla dell'ascensione del Signore, festa che cade 40 giorni dopo la Pasqua e che viene inclusa nel "tempo della riconciliazione"; in questo capitolo, il dominicano si lascia andare ad una serie di considerazioni sul tempo che ho trovato affascinanti per le implicazioni logiche e scientifiche che sottendono.
In primo luogo, viene utilizzata la pratica della proporzione matematica, ri-scoperta recente per la cultura occidentale, per interpretare il tempo in chiave mistico-allegorica. Così si afferma che il periodo di tempo fra la resurrezione e l'ascensione (40 giorni) sia proporzionale alla durata della morte di Cristo (3 giorni) in quanto "le consolazioni rispetto alle tribolazioni stanno come un anno sta ad un giorno, un giorno ad un'ora, un'ora ad un istante". Con più precisione, poco oltre, si afferma che se Cristo è stato nel sepolcro quaranta ore (dal pomeriggio del venerdì all'alba della domenica), allora il principio di proporzionalità spiega perché sia rimasto nella terra 40 giorni dopo la risurrezione. Chiaro che il calcolo sia tirato per i capelli, ma l'idea in sé è rivoluzionaria per l'epoca e, soprattutto, porta gli strumenti logico-analitici del volgare "contabile" aritmetico al servizio della più nobile dottrina, quella teologica.Ma la parte più sorprendente è la successiva spiegazione del meccanismo dell'ascensione. Qui viene tirata in ballo la descrizione del cosmo di Mosheh ben Maymon, filosofo andaluso dell'XII secolo, medico, astronomo e matematico, di cultura ebraica e grande rabbino. Il fatto che sia fra le fonti cruciali di un'opera teologica la dice lunga sull'apertura mentale dell'autore e, indirettamente, della sua epoca.
Secondo Rabbi Mosheh, i "cieli" aristotelici hanno uno spessore di cinquecento anni; Iacopo spiega come si debba intendere questa unità di misura dello spazio, ossia come "la distanza che un uomo può percorrere in pianura camminando ininterrottamente per cinquecento anni", se potesse vivere a sufficienza. Interessante no? Facilissimo vedere qui un'anticipazione di una modernissima unità di misura astronomica, l'anno luce.Ma nel titolo parlavamo di spaziotempo: come entra in gioco la questione? Semplice, per via della velocità di... fuga necessaria al Salvatore per tornare nel Regno dei Cieli, alla destra Padre. Poiché i cieli sono distanziati l'uno dall'altro da uno spessore identico, e dato che i cieli sono sette, fra il centro della terra e fra la volta del cielo di Saturno vi è uno spazio di settemila "anni-uomo" (mi si perdoni) e fino all'ultimo cielo di settemila e cinquecento.
Iacopo è preciso nel definire la lunghezza di un anno-uomo, in quanto si deve considerare "un anno composto di 365 giorni e si valuti il cammino di ciascun giorno in quaranta miglia e ciascun miglio sia di duemila passi o cubiti"Visto che la fonte di Iacopo è talmudica, possiamo considerare il cubito ebraico tradizionale di 45 cm come passo, quindi avremo un "anno-uomo" di 13140 km (più o meno quel che Forrest Gump fa di corsa in tre anni, ma vado a memoria) e 98.500.000 km di distanza totale. Il Paradiso, insomma, sarebbe a poco più in là che a mezza strada fra noi e il Sole. Facili ironie a parte, consideriamo l'epoca e il tipo di opera, essenzialmente un testo di riferimento per la catechesi e la formazione dottrinale e intellettuale delle masse: sentire il bisogno di inserire precisi riferimenti spazio-temporali, con tanto di calcoli logico-matematici in questo contesto significa credere nel profondo valore intellettuale e - perché no! - spirituale del pensiero scientifico.Se poi consideriamo che la penultima parte di questo capitolo della Legenda si spinge a considerare che il Signore risorto ha percorso questo spazio "nel tempo di un battito di ciglia", con l'aiuto di un po' di fisiologia possiamo calcolare in 70 ms la durata del "viaggio", e stimarne la velocità media in oltre un miliardo e 400 milioni di km al secondo; più di 4000 volte la velocità della luce, tanto per. Ma mica parliamo di Superman, qui!!