Il recente declassamento della Commissione europea al rango di “sorvegliati speciali” è una ulteriore conferma che l’Italia è stata confinata tra i paesi di cui non ci deve assolutamente fidare; dal debito pubblico alla grave crisi di competitività ci sono seri problemi di contagio per l’Europa intera. Con pari enfasi l’Europa cerca di tutelare gli interessi e la stabilità del sistema europeo nel suo complesso, quando si riserva la facoltà di intervenire e prescrivere misure correttive per ogni Stato membro che non voglia o non sia in grado di adottare i necessari aggiustamenti.
La Commissione, nella stessa procedura, ha svolto un generico commento sull’enorme surplus commerciale tedesco ( che ha superato il 7% del Pil) che nei termini dell’avanzo commerciale tedesco rappresenta la più preoccupante fonte di squilibri in tutta l’area euro. Tutto ciò secondo una vulgata che richiama l’area euro come semplice somma di Paesi e non come un sistema, fatto di interdipendenze macroeconomiche complesse.
In questa fase dovrà inserirsi il governo Renzi con i suoi programmi che vanno dagli 85,00 euri concessi ai dipendenti, alla riduzione per le imprese dell’Irap del 10%, e via via con altre amenità elencate, quali l’intervento della Cassa depositi e prestiti (per favorire il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle piccole e medie imprese; anche qui con le dovute specificazioni e quantificazioni in quanto la Cassa non ha risorse illimitate), oltre al risibile Jobs Act.
Un approfondimento necessario è quello relativo al Trattato del Fiscal Compact che (entro marzo) una Commissione Ue dovrà sistemare per garantire il rientro ventennale, con destinazione finale in un Fondo europeo, per tutti quei paesi che superano la quota del 60 per cento nel rapporto debito/pil .
Per un paese come l’Italia il cui rapporto sfiora il 133 per cento si tratta di conferire al Fondo europeo il 73 per cento (133-60=73%), da realizzare ogni anno con prelievo automatico pari a 1/20 del debito da apportare al Fondo. Per ottemperare a questa regola l’Italia dovrebbe ottenere o un avanzo superiore al 3% oppure con un taglio strutturale di spese del 6%, ad esempio con una svendita di patrimonio pubblico stimabile intorno a un centinaio di miliardi l’anno (si veda a questo proposito l’articolo di Antonio Pilati apparso su “Il Foglio”del 18/03/’14). C’è nel Fiscal Compact una sostanziale cessione di sovranità con la possibilità di prelevare direttamente dal patrimonio dei cittadini. In questo modello ci sono Stati come la Grecia e L’Italia che a causa di un debito stratosferico, sui cui incide la scarsa crescita, rischiano di perdere pezzi di sovranità.
Tutto ciò si inserisce ad un problemino non da poco che il governo ed il nuovo ministro dell’economia Padoan dovranno affrontare: l’anemia della ripresa in corso, attestata su dinamiche assai modeste attorno allo 0,5%, molto al di sotto dell’1,1% previsto nella legge di stabilità approvata a dicembre.
Ormai il declino dell’Italia è da tempo segnato e sarà inarrestabile. L’inviluppo di uesto paese si accompagnerà alla tanto evocata decrescita similmente alle sirene di una sguaiata richiesta di un pauperismo d’accatto che possa agire da contraltare ad una crescita lineare.
GIANNI DUCHINI marzo ’14