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Il terremoto in Giappone: un dolore che mi sovrasta.

Creato il 18 marzo 2011 da Bibolotty
Il terremoto in Giappone: un dolore che mi sovrasta.
La settimana passata, era giovedì, ho sognato che il mio Juzu, il rosario che uso nelle mie preghiere, mi si sgretolava fra le dita.
Svegliandomi di soprassalto da quello che per qualunque Buddhista è un sogno premonitore, qualcosa che ha a che fare con la fede e con la stessa vita, mi sono detta che forse, negli ultimi tempi, stavo indulgendo troppo con me stessa e che dovevo riprendere a pregare con maggior forza e convinzione. Talvolta, quando i nostri pensieri, le parole e le azioni positive non trovano effetti, capita di cedere e di lasciarsi andare.
Non ho mai pubblicizzato la mia fede anche perché, purtroppo, se in Italia dico Buddhismo tutti pensano a certe scuole di pensiero new age, quelle di ultima generazione che non tengono conto del rigore con cui nascono e che s’impadroniscono di una o due frasi d’effetto da usare come esca, quelle dove pare sia sufficiente recitare un mantra per trovare un parcheggio, un lavoro o l’amore.
Fino ad oggi quindi, sul posto di lavoro così come nel quotidiano, non ho mai fatto menzione alla pratica rigorosissima su cui si fonda la mia vita. So che il rigore non appartiene alla mia nazione più dedita a cercare scorciatoie che illuminazioni.
La fede mi è stata data in dono alla nascita, ed è stato il dono più bello che potessi ricevere, per anni sono stata una cattolica praticante poi, all’improvviso e forse senza un vero perché mi sono incamminata altrove. Passando per la filosofia occidentale sono arrivata al Buddha, allo zen e finalmente, in un mantra, ho sentito sciogliersi lacrime, dubbi e resistenze, ho sentito che quel suono e quel rito erano fatti per me e che, la mia razionalità poco incline al dogma, avrebbe trovato lì la risposta giusta a ogni domanda.
Così è stato. Così è da vent’anni.
Appartenere a una scuola di pensiero Giapponese mi ha portata ad avere un forte controllo sulla mia vita e sulle emozioni che ogni giorno obnubilavano la mia mente e non mi consentivano di vedere i problemi dalla giusta prospettiva.
Attraverso una pratica giornaliera rigorosa e talvolta assai faticosa ho esercitato la mia mente a considerare solo l’attimo e a vedere il futuro come semplice conseguenza dell’azione presente.
Sono sparite dalla mia vita le scuse che attribuivano agli altri e al mondo osceno i miei eventuali fallimenti e mi sono presa la totale responsabilità di ogni risultato.
Non rimando mai a domani ciò che posso fare oggi.
Quando sono da sola mi comporto come se avessi un ospite e viceversa.
Sono e a volte fin troppo esigente con me stessa ma non con gli altri anche se, sempre più spesso, non sopporto il lamento sterile di chi continua a guardare le colpe dei propri fallimenti fuori anziché dentro di sé.
La pratica quotidiana mi ha insegnato a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno ed è inutile dire che la vita mi ha sempre dato ragione: le peggiori casualità si sono sempre dimostrate preziose eventualità.
Quando nel 2007 mi sono recata al Tempio ai piedi del monte Fuji, mi è parso di essere tornata finalmente a casa dopo un cammino durato secoli.
L’ho capito dal primo momento mentre, sorseggiando del tè verde, osservavo la proprietaria del piccolo albergo dove alloggiavo che rimetteva in fila decine di scarpe e la sua attenzione era solo nell’azione presente: forma e contenuto due facce della stessa medaglia.
Un sorriso è un sorriso, un sì è un sì e il “no” non trova posto nel loro vocabolario.
Il Giapponese è gentile e non per forma: sa che le sue azioni non sono ritrattabili, che le parole e soprattutto i pensieri non si possono cancellare con un “amen” distratto ma vengono incise in profondità nel Karma e chissà quando capiterà di dover pagare il conto.
Dopo due giorni i miei compagni di viaggio mi guardavano allibiti mangiare pesce alle sette del mattino e chinare il capo di fronte a chiunque incontrassi per strada, parlavo sottovoce e sentivo l’acqua scorrere anche nei mie sogni, fluire nelle mie preghiere e nei pensieri.
Forse ho conosciuto la parte migliore del Giappone, non posso saperlo, ma avrei dato qualsiasi cosa per rimanere lì a vita. Amo la loro natura, l’arte, il suono della loro lingua, gli abiti e le tradizioni e il rigore geometrico che si esprime anche apparecchiando la tavola, disponendo i fiori e pregando.
Nulla avviene per caso. I gesti sono misurati e hanno sempre un fine, gli spazi sono essenziali, le parole poche.
Venerdì scorso i Reverendi erano qui in Italia, mentre la loro nazione tremava officiavano un rito per noi come se lì nulla stesse accadendo, ci hanno incoraggiato e hanno pregato per noi.
Il dolore che provo mi sovrasta ma so che troveranno la forza per superare anche questo dramma, che riusciranno a trovare una ragione a un’apocalisse che sembra non averne.
Prego per loro, la sola azione che da qui mi è consentita.

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