Un effetto l’Isis l’ha avuto di certo sulle società occidentali: ha contribuito a rendere la retorica pubblica ancor più cretina di prima, a toglierle il residuo senso del ridicolo. E così alla rappresentazione della Carmen al San Carlo di Napoli l’apparizione di alcuni mimi vestiti di nero è stata cancellata perché avrebbero potuto sembrare gli uomini del Califfato. Le cose ovviamente non stanno proprio così, ma sono state riportate in questo modo perché anche il pubblico relativamente colto abbia la sua dose giornaliera di idiozia e si abitui alla demenza.
Certo il presidente di cartone che sotto le feste viene dotato di risponditore automatico collegato un database di frasi fatte, non immaginava questo retroscena quando ha detto, mentre veniva portato nel palco reale: “La cultura per promuovere la pace e sconfiggere la paura. La cultura serve anche a questo, la musica coinvolge al di là delle culture”. Per carità, fra i tanti pregi del presidente della Repubblica, flessibilità, impermeabilità, robustezza che ne fanno partner ideale di Amazon prime, non c’è quello della logica. E infatti la pace verrebbe promossa da un’opera poco riuscita (l’unico brano notevole, l’habanera, è una musica popolare spagnola infilata di peso nello spartito all’ultimo momento), malamente affastellata che parla di briganti, machismo, tauromachia, accoltellamenti, soldataglia, razzismo nascosto sotto i panni della cartolina etnica e femminicidi. Quasi quasi è un lapsus freudiano prima ancora di essere una doverosa sofferenza in vista del lauto banchetto per 350 voraci commis del declino.
Ma insomma sembrerebbe che chi si veste di scuro o di nero, come per esempio i carabinieri o i commessi di Prada, può turbare e ricordare l’Isis: a questo livello siamo scesi o ci vogliono far scendere. Il fatto è che nel complesso di un allestimento sobrio il regista Daniele Finzi Pasca si è lasciato andare a qualche intemperanza circense, in particolare introducendo mimi vestiti di scuro con dei tubi al neon in mano, non si sa se ceri, fucili, simboli fallici o spade al laser. Pazienza, ma quando in una scena queste presenze hanno rivelato una natura eccessivamente funambolica, valicando la regione dove regna il saltimbanco, il direttore d’orchestra Zubin Mehta ha detto, “sembrano quelli dell’Isis”, un modo come un altro per dire che la scena era proprio fuori luogo, da circo e convincere così il regista a cancellare l’esibizione con un’argomentazione che non colpisse troppo l’ego registico. Per il resto visto che questi mimi in scuro accompagnano tutta l’opera, non si vede perché non siano stati del tutto cancellati se è vero che ricordano il Califfato: in realtà si tratta solo di normali contrasti sulla messa in scena, arruolati a forza nella guerra al terrorismo.
Ma per la grande stampa tutta banche e guerra era un’occasione imperdibile per metterci la paura anche in questa semplice inaugurazione di una stagione lirica, densamente popolata di politici e sponsor quasi come quella della Scala, giusto per non far torto a un altro importante teatro. E se la blindatura di un evento qualsiasi ne testimonia ormai l’importanza, è diventata un’irrinunciabile medaglia, non guasta andare oltre misura e metterci un po’ di Isis, degno sostituto di Al Qaeda, diventata improvvisamente un alleato. Oh si, le terrorisme est un oiseau rebelle …