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Il terzo incomodo

Creato il 24 giugno 2013 da Scribacchina

basso imitazione fender

Finora ho sempre parlato del mio parco bassi come se fosse composto da due soli elementi: il basso nero frettato e il pluricitato fretless.

Pochi, pochissimi sanno che c’è un terzo elemento, da sempre rinnegato e tenuto nascosto come fosse una vergogna: il mio primo basso, preso quando ero poco più che adolescente in un negozio di pianoforti che aveva anche qualche strumento elettrico semiusato degli anni 60-70; i prezzi erano molto popolari, per il poco che posso ricordare: cercavano di svendere il piccolo parco elettrico per potersi dedicare esclusivamente alla vendita di pianoforti.

C’erano due soli bassi in esposizione: uno imitazione Hofner (modello Beatles, per intenderci) e uno imitazione Fender (modello Pastorius) con i copri pickup cromati.

Avrei voluto prendere il basso come quello del mio idolo di allora, Paul McCartney, ma temevo fosse troppo démodé (infatti tutti gli altri bassisti famosi avevano strumenti di forma “più Fender”). Inutile parlarmi di dati tecnici come tipo di pickup, legno del manico, meccaniche…. dello strumento “chitarra basso” sapevo solo una cosa: che volevo suonarlo. Nient’altro. Non sapevo nemmeno tenerlo in mano.

La scelta cadde quindi sull’imitazione Fender, più che altro perché lo vendevano con una bellissima custodia Fender (originale, questa) ad un prezzo d’occasione.
Non chiedetemi la marca del basso, per pietà… vi basti sapere che non è uno Squier: è qualcosa di molto, molto più vergognoso.

Iscritta alla scuola di musica, mi misi in testa che quel basso era da sostituire: troppo pesante per le mie piccole spalle di ragazzina, duro da suonare, con un suono poco chiaro, per non parlare di quegli antiestetici buchi rimasti dopo aver tolto i copri pickup… insomma, una schifezza.
Dopo un paio d’anni, dunque, ecco arrivare tra le mie braccia un basso più serio: il mio attuale nero. Modello extra leggero ed extra sottile, straordinaria novità di casa Ibanez di inizio anni ’90: una meraviglia della tecnologia che – ahimé – sarebbe uscita di produzione dopo pochissimo. Chissà perché, poi: alla fine è un basso più che dignitoso.

Ma torniamo a noi.
Zitta zitta, dopo più di due decadi di inutilizzo ho riesumato il finto Fender e con stupore estremo ho notato che:
A – non è così pesante (non in maniera insopportabile, diciamo)
B – incredibile: suona ancora (!!!) e con un facilità estrema; altro che essere duro…
C – tiene perfettamente l’accordatura
D – ha un suono eccezionale: morbido, caldo e rotondo.

La tentazione di usarlo nel prossimo live, tra un mesetto, è fortissima. E’ che… sì, c’è quel nome vergognoso che mi blocca. Non se ne parla, non posso presentarmi con un basso con un nome così ridicolo… tantopiù che al giorno d’oggi uno si guarda in giro e vede i suoi competitor con bassi spaventosamente importanti: mostrarsi con uno strumento da discount potrebbe essere davvero imbarazzante.

Idea: non so come, ma… se riuscissi a cancellare dalla paletta il nome ingrato e ci scrivessi sopra qualcos’altro? Magari un nome inventato di sana pianta, che possa farlo passare per basso di nicchia? Tanto il problema è solo di tipo estetico: per il resto potrebbe competere coi bassi più blasonati, garantito.

Ci devo riflettere seriamente: questa piccola truffa (se vogliamo chiamarla così) mi stuzzica oltre ogni dire.


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