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di Giuseppe Panella
Draquila – L’ Italia che trema di Sabina Guzzanti ovvero il bon sens per immagini
«Come si è potuti riuscire a persuadere esseri ragionevoli che la cosa più incomprensibile era per essi la più essenziale?»
(Paul-Henry Thiry barone d’ Holbach, Il buon senso)
La speranza si affaccia sullo schermo sotto forma del volto sorridente di Raffaele Colapietra, anziano professore di Storia Moderna assai noto a livello locale, che racconta come abbia insistito a rimanere nella sua vecchia casa lesionata nonostante le ingiunzioni e le valutazioni terroristiche ricevute sullo stato dell’edificio. La casa tiene ancora e le riparazioni, sia pure costose, gli hanno permesso di salvaguardare mobili e ricordi, soprattutto l’ampia e amata biblioteca. Ma non tutti sono stati così fortunati nell’Aquila distrutta dal micidiale terremoto del 6 aprile del 2009. Il padre affranto che ha perduto i figli per aver dato ascolto ai tecnici della Protezione Civile (e agli scienziati della Commissione Grandi rischi oggi inquisiti per negligenza) e che ancora non se ne dà pace ne è solo un esempio come ne sono simboli le anziane donne o le famiglie ospitate nelle tende e poi trasferite in massa, spesso contro il loro desiderio, in località lontane dalla città devastata o costrette a vivere nei lussuosi alberghi della costa adriatica. Quella trasformata in immagini di documentario da Sabina Guzzanti in Draquila – L’Italia che trema è una tipica storia italiana.Verificatasi nel corso di una vicenda politica inquietante di malaffare economico e di corruzione personale da Basso Impero – quella di Silvio Berlusconi e del suo governo del “fare” – ne ha messo in evidenza i caratteri più inquietanti: esibizione del potere personale del leader e accentuazione impressionante del suo potere carismatico (la confermano le dichiarazioni deliranti del suoi fan commossi e disposti a seguirlo fino in fondo), militarizzazione del territorio e nascita di un controllo microfisico capillare che giunge fino a stabilire la dieta alimentare dei terremotati e le esclusioni di cibi e bevande ritenute “eccitanti” (come la Coca-Cola!), creazione di un gruppo di imprenditori e di uomini d’affari che lucrano abbondantemente e spudoratamente (fino al punto di felicitarsi reciprocamente ridendone della disgrazia avvenuta) sull’evento con la protezione degli enti che dovrebbero ridurne i danni e le conseguenze.
Questa docu-fiction (come si preferisce chiamarle con oggi con un neologismo selvaggio) di Sabina Guzzanti è un film “illuministico”. Mostra mediante immagini toccanti e spesso feroci ed esplicite (mai volutamente scioccanti, però) i guasti della malafede e dell’irrazionalità dei comportamenti.
Nel caso del terremoto dell’Aquila sono state messe in atto tutte le forme di persuasione capaci di dimostrare che la verità era dalla parte di chi gestiva il potere: prima, tranquillizzando a torto la popolazione e spingendola a rimanere a casa dove il pericolo era maggiore, poi organizzando veri e propri campi di contenimento degli sfollati e allontanando sempre più i suoi abitanti dalla città distrutta e in macerie. Inoltre, la proposta troppo rapidamente avanzata di costruire quelle che sempre più spesso vengono proposte con il nome di new town, da un lato, aumentava la brama di profitto di costruttori privi di scrupoli e capaci di corrompere con facilità chi non aspettava altro e, dall’altro, creava una serie di aspettative nella capacità imprenditoriale del potere e della sua efficienza certamente degne di miglior causa (ma recepite come una sorta di messaggio mediatico di salvezza immediata). Il film della Guzzanti fotografa tutto questo senza sovrapporvi nessun messaggio didascalico lasciando parlare le immagini di ciò che accaduto a partire da quel giorno fatidico e mettendo in primo piano le persone e le loro voci favorevoli o contrarie alla gestione degli avvenimenti. Tra tutte, la tenda che ospita la sezione aquilana del PD risalta in maniera desolatamente efficace, come un simbolo di sconfitta irrimediabile.
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