Wunderkammern – un libro che sarebbe piaciuto a Borges. Gervasio di Tilbury, Il libro delle meraviglie, a cura di Elisabetta Bartoli, premessa di Francesco Stella, Pisa, Pacini Editore, 2010
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di Giuseppe Panella*
E’ ben noto ormai che il progresso scientifico e delle sue scoperte (che non sembrano ormai più così prodigiose a chi le osserva dall’esterno senza rimanerne attoniti come accadeva un tempo) sia nato dallo “spirito di Taumante” ovvero dalla meraviglia (come dicono congiuntamente Aristotele nella Metafisica, Descartes nelle Passioni dell’anima e Michel de Montaigne in un suo celebre essai).
Senza capacità di stupirsi e di trovare prodigioso il mondo che lo circonda, lo scienziato (o lo studioso in genere) non è in grado di muovere alla scoperta di nuovi mondi e di nuove prospettive di spiegazione di esse. Il modello rappresentato dal Libro delle meraviglie, di cui l’opera di Gervasio di Tilbury rappresenta uno dei momenti paradigmatici nella storia della cultura europea in epoca medioevale, appartiene a un genere letterario ben definito capace di accomunare le rassegne dei monstra più bizzarri e inspiegabili ai racconti di viaggi e di navigazioni verso mondi fino allora sconosciuti. E’ a partire dalle raccolte di animali (definiti comunemente mostri o stranezze viventi) e di aberrazioni che possono essere considerate eccedenti rispetto al codice fino allora conosciuto della Natura che le discipline scientifiche andranno componendo lentamente il proprio disegno epistemologico. Esso culminerà, per quanto riguarda la zoologia, ad esempio, nei tentativi di ricomposizione del mondo vivente in un’unica tassonomia comparata ad opera di scienziati come Linneo o Geoffroy de Saint-Hilaire. Un esempio straordinario di collazione e di catalogazione dei monstra e dei prodigia esistenti nel campo degli esseri viventi è costituito, solo per fare un esempio prestigioso, dalla raccolta di Isidore Paré (contenuto in Mostri e prodigi, trad. it. e cura di Massimo Ciavolella, Roma, Salerno, 1996). Il testo di Gervasio di Tilbury, tuttavia, oltre che l’interesse dello storico delle origini delle rivoluzioni scientifiche, è, tuttavia, di grande interesse e risulta importante anche per i suoi aspetti linguistiche e di costruzione di un linguaggio che va al di là del latino classico degli eruditi e si prova a comporre un lessico che sia più utile alla conoscenza di fenomeni considerati ancora misteriosi e “al di là di ogni congettura” (Thomas Browne, Religio Medici) precedente. Ne deriva un impasto letterario di notevole originalità che risulta significativo anche per la conoscenza della genesi della lingua futura dell’Europa colta e ancora a venire nel XIII secolo.
E’ un’ esigenza questa sulla quale non si può non convenire, soprattutto alla luce di quanto ne scrive Francesco Stella nella sua Premessa di curatore della collana in cui questo libro è apparso:
«Nelle biblioteche mentali dei cittadini europei il Medioevo è quasi sempre il grande assente. Specialmente il Medioevo latino, specialmente in Italia. Scuole e università ci abituano da secoli a riconoscere, alle radici di ogni nostra espressione linguistica e letteraria, la presenza dei grandi autori classici e moderni. Ma l’oscuramento della memoria testuale del Medioevo dai programmi scolastici e da gran parte dei curricula universitari lascia inesplorato un patrimonio immenso di invenzioni, racconti, cronache, meditazioni, favole, trattati, visioni, liriche, fatti, luoghi ed emozioni: questo patrimonio sta dietro la Commedia e il Decamerone, ed è coerente e complementare al Medioevo architettonico e artistico che invece tutti frequentiamo e che tuttora individua l’eredità culturale dell’Europa. Dietro le cattedrali di Firenze e di Köln, Notre Dame di Parigi e il Minster di York, Santa Sofia di Kiev e la Cappella degli Scrovegni l’Alcazar di Siviglia e Piero della Francesca, dietro e prima della corona di Stefano d’Ungheria e le leggende di Artù, le storie di Shakespeare e le saghe fantasy c’è un immaginario che la scuola storica francese ha cominciato a esplorare sui pochi documenti accessibili ma che non apparterrà alla coscienza europea finché i testi che lo trasmettono non saranno leggibili nelle lingue attuali dei cittadini europei. La conoscenza del latino, radice unificante dell’istruzione novecentesca, perde progressivamente terreno perfino fra i professionisti della medievistica, e anche i pochi cultori di questa lingua troverebbero difficoltà a reperire un testo mediolatino nella rarità delle pubblicazioni specialistiche, a stampa o in rete, che ne custodiscono le edizioni critiche» (p. V).
Ne consegue la necessità urgente di mantenere in vita questo patrimonio e di renderlo comune al più ampio numero di lettori possibile attraverso strategie mirate di coinvolgimento culturale e di divulgazione dei testi. La traduzione di Il Libro delle meraviglie di Gervasio di Tilbury concerne la terza parte della sua opera maggiore, gli Otia Imperialia (che è comunque uno dei suoi due scritti che sono pervenuti attraverso il passaggio dei codici manoscritti). A differenza delle altre due parti che narrano, la prima, degli eventi relativi alla creazione del mondo e quello che ne seguì (venticinque capitoli) e la seconda che verte sulla mappa geotopografica del mondo fino ad allora conosciuto anche se in parte (ventisei capitoli), la terza sezione, composta a sua volta di centotrenta capitoletti, si avventura bella costruzione di una sorta di enciclopedia di fatti e situazioni meravigliose, bizzarre, strane e fors’anche del tutto incredibili che potranno servire di svago all’imperatore nei suoi momenti liberi dalle fatiche relative al governo dei suoi popoli. Si tratta, quindi, di un’opera intesa a dilettare e ad affascinare il lettore, non solo ad istruirli. Scrive la curatrice Elisabetta Bartoli nella sua bella Introduzione:
«Benché gli Otia affrontino una materia che spazia dal trattato di geografia medievale (una mappa mundi, appunto, come recita il titolo di un paragrafo della Parte II), al testo di storia, dal compendio di storia sacra all’enciclopedia di fenomeni insoliti e meravigliosi, non travalicano l’ambito letterario. Se possiamo concordare con Le Goff che vede in Gervasio uno dei primi intellettuali dotati di spirito scientifico perché “tende a fare dei mirabilia dei fenomeni marginali, dei casi-limite eccezionali ma non fuori dell’ordine della natura” [Jacques Le Goff, Il meraviglioso e il quotidiano nell’ Occidente medievale, a cura di F. Maiello, trad. it. di M. Sampaolo, Roma-Bari, Laterza, 1983, p. 15], indubbiamente dovremo notare che l’atteggiamento che prevale negli Otia oltre a quello dell’autore di un’opera scientifica, che indaga o riflette sulle cause degli accadimenti, è prevalentemente quello di un narratore, che seleziona il materiale sulla base della spettacolarità, poi riferisce i fatti curandosi delle sue fonti e dell’effetto che susciterà nei lettori. In ogni caso Gervasio cerca di offrire una visione globale delle sue Meraviglie: se un evento ha una duplice tradizione, le inserisce entrambe, senza propendere per l’una o l’altra, intervallando sovente le trattazioni con aneddoti, divagazioni e leggende che rendono decisamente piacevole la lettura di un libro che sa esercitare ancora sui lettori a noi contemporanei tutto il suo fascino, che Gervasio sapientemente distilla in pagine di fatti stravaganti e di inaudite rarità» (pp. 13-14).
Il meraviglioso, l’insolito, lo strano e l’inaudito la fanno da padroni nei racconti di Gervasio – la sua capacità di tradurre in fabula leggende e voci raccolte nei classici (citazioni fittissime sono riportate, infatti, dai trentasette volumi del repertorio della Naturalis Historia di Plinio il vecchio) e tra le popolazioni della sua terra madre come questa notizia su un animale favoloso:
«62. Il grant In Inghilterra esiste una specie di demone detto grant in inglese; somiglia a un puledro di un anno, dritto sulle zampe, con gli occhi scintillanti. Il grant appare molto spesso nelle piazze nel momento più caldo della giornata, oppure verso il tramonto, e tutte le volte che si manifesta significa che presto scoppierà un incendio in quella città o in quel villaggio. Se il pericolo incombe per l’indomani o per la notte, scorrazzando qua e là per le piazze, incita i cani ad abbaiare e, mentre finge di scappare, provoca i cani che si danno all’inseguimento, nella vana speranza di prenderlo. Questo genere di scherzi mette sull’avviso i paesani che prestano particolare attenzione al fuoco; così questo genere di demone risulta utile: mentre spaventa coloro che lo vedono, col suo arrivo suole mettere in guardia gli ignari» (p. 121).
Se lo avesse conosciuto e l’avesse letto (o se lo fosse fatto leggere), questo libro sarebbe molto piaciuto a Jorge Luis Borges, autore nel 1957 di un Manuale di zoologia fantastica, in collaborazione con Margarita Guerrero, che in alcuni punti sembrerebbe ricordare le Meraviglie di Gervasio: Ma, laddove per Borges contavano l’invenzione e lo spunto letterario a partire dai quali ricavare e su cui costruire le sue creature senza volto e senza futuro, per l’erudito inglese conta la dimensione generale, il “sistema del mondo” all’interno del quale esse si trovano e vengono giustificate da una ratio che non sempre può essere quella umana.
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*Il primo sguardo da gettare sul mondo è quello della poesia che coglie i particolari per definire il tutto o individua il tutto per comprenderne i particolari; il secondo sguardo è quello della scrittura in prosa (romanzi, saggi, racconti o diari non importa poi troppo purché avvolgano di parole la vita e la spieghino con dolcezza e dolore); il terzo sguardo, allora, sarà quello delle arti – la pittura e la scultura nella loro accezione tradizionale (ma non solo) così come (e soprattutto) il teatro e il cinema come forme espressive di una rappresentazione della realtà che conceda spazio alle sensazioni oltre che alle emozioni. Quindi: libri sull’arte e sulle arti in relazione alla tradizione critica e all’apprendistato che comportano, esperienze e analisi di oggetti artistici che comportano un modo “terzo” di vedere il mondo … (G.P.)