Solito bus 68 pieno a fine giornata, che dal Campus Einaudi oltrepassa la Dora e si immerge nel Quadrilatero. Mi incastro tra la spalla di uno sconosciuto e l’obliteratrice, mi aggrappo e, posizionata la pesante borsa tra le gambe, osservo: l’autobus entra in via Rossini e scivola rapido sino a raggiungere corso Vittorio, su cui ruota di novanta gradi e prosegue.
Lei mi si impone al lato destro all’improvviso, nei pressi di Palazzo Nuovo: una chioma di ricci castani e noncuranti posiziona il libro aperto sul piano sottostante la macchinetta. L’urgenza è quella del libro nuovo, dunque non protesto. Anzi, ne ammiro la capacità di ritagliarsi uno spazio senza affanno, laddove spazio davvero non ce n’è.
Legge con la premura di chi si sente in dovere di cominciare dalla prefazione ma vorrebbe saltarla: sbircia il contenuto successivo una, due volte, per poi tornare concentrata alle prime pagine. Fermo e vigile, il dito indice resta a segnare il traguardo all’altezza del primo capitolo.
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