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Il terzo volume della meravigliosa trilogia di Jón Kalman Stefánsson, Il cuore dell'uomo. Per fare un viaggio in un mondo affascinante e spaventoso.
Creato il 23 maggio 2014 da Consolata @consolanzaLa terza parte della trilogia che comprende Paradiso e inferno e La tristezza degli angeliè uscita all’inizio del mese, in tempo per il Salone del Libro dove l’autore Jón Kalman Stefánsson ha partecipato a un paio di incontri, e naturalmente mi sono precipitata a comprarlo. Con piacere rinnovato ho riconosciuto gli elementi che contribuivano al fascino dei primi due volumi, l’ambientazione favolosamente indeterminata nel tempo e concretissima nello spazio di quel perfetto luogo dell’immaginario che è l’Islanda, la prosa ritmata (che ricorda molto Josè Saramago), poetica e ricca di sorprese, la felicissima traduzione di Silvia Cosimini, le montagne, il mare, il buio e la luce, il dolore, la fatica, la voglia di vivere nonostante tutto. Ma se in Paradiso e inferno il centro di tutto era il mare, il luogo dove i pescatori rischiavano tutti i giorni la vita mentre sul fondo gli annegati facevano da coro alle vicende umane, e La tristezza degli angeli era incentrato sul viaggio, l’impresa quasi disumana di valicare le montagne che cadono a picco sulle acque nere e nascondono nelle sperdute case che le punteggiano piccoli brandelli di umanità non si sa se più folli o più eroici, Il cuore dell’uomo si svolge tutto nel Villaggio senza nome, ottocento anime davanti al grande fiordo dove arrivano velieri islandesi e stranieri, e i primi piroscafi a vapore, e tutti si danno da fare con il pesce che dà da vivere, in un modo nell'altro, a tutti. Gli uomini scaricano, le donne lo mettono a seccare. Qui il ragazzo senza nome, protagonista di tutti e tre i volumi, ritorna dopo le peripezie che hanno occupato la tarda primavera e l’estate di un imprecisato anno a fine ottocento, e ritrova i molti personaggi che lo abitano. Tutte le vicende ruotano intorno ai rapporti tra i personaggi e alle loro ossessioni, di cui sappiamo qualcosa ma a sprazzi, a illuminazioni. Non si può dire in superficie perché Jón Kalman Stefánsson sa guardare nel cuore di tutti, ma quello che gli interessa non sono le motivazioni o i fatti del passato, a lui premono i moti del cuore, le angosce profonde, le paure, i sogni. Anche qui c’è un coro di morti, quelli che stanno in bilico, ancora aggrappati alla vita abbastanza da voler essere testimoni delle vicende dei vivi. E si parla di amore, di sesso, di sentimenti che non si vogliono riconoscere e tentazioni, di capelli rossi e occhi verdi e occhi più scuri della notte, di donne potenti e inquiete e donne che danno conforto senza aspettarsi niente. In qualche maniera quasi tutti trovano un cuore affine o almeno un compagno di letto, e il ragazzo compie il suo percorso di crescita e deve affrontare la difficile prova di diventare uomo. I personaggi sono gli stessi che abbiamo già incontrato alla fine del primo volume, ma nel frattempo sono passati gli anni e non è facile ricordarne l’identità né riconoscerli. In questo non aiutano certo i nomi oggettivamente difficili, di cui non sempre si capisce il genere, e qualche omonimia. E qui, mi permetto un’osservazione: la bella casa editrice Iperborea, che ha tanta cura per i suoi bei libri, avrebbe potuto aggiungere all’interessante postfazione di Alessandro Zironi un piccolo “riassunto delle puntate precedenti” per le persone smemorate come me. Una citazione, per finire in bellezza e spingervi a leggere questo bel romanzo: Credo che non importi molto di che cosa parlano il libri, dice Gísli, che sta per abbottonarsi il paltò ma lascia perdere,del resto fuori c’è il sole, ma come tutti i libri degni di questo nome, parla di cosa significa essere uomo e spiega che è terribilmente difficile.
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